sabato 14 settembre 2013

IL CASO BEATRICE CENCI

Il giudice: “In nome della legge…”
Il popolo: “Giustizia è fatta…”
“Ti amo”, “Ti voglio bene”, “Amore mio”
Sono tutte frasi ripetute e spesso abusate, insieme alla colorita espressione “Cornuto” (che non si riferisce proprio e soltanto  agli animali), da quando il genere umano ha smesso di balbettare (bei tempi!) e si è imposto un’organizzazione.
E’ in questa situazione che fatti acclarati come indiscutibilmente veri e inoppugnabili si rivelano poi fitti di dubbi e perplessità che incrinano i risultati e le conseguenze che ne derivano.
Ogni anno, la notte dell’11 settembre lo spettro di una giovane e bella ragazza decapitata cammina sugli spalti di Castel Sant’Angelo  portando la propria testa tra le mani. La stessa visione appare nella   Villa Borghese, a non più di 200 metri  dal luogo dove è  custodito il quadro che la ritrae.
E’ Beatrice Cenci, figlia di Francesco e di  Ersilia Santacroce e sorella di Antonia, Giacomo, Cristoforo, Rocco, Bernardo e Paolo.

IL FATTO
All’epoca della Roma papalina, la famiglia Cenci era ricchissima, poiché Francesco aveva ereditato dal padre una fortuna immensa, ma era egoista, tirchio e rissoso, guadagnandosi anche una condanna per sodomia (1598).
Francesco faceva vivere i figli in uno stato di semipovertà.
I figli Giacomo, Cristoforo  e Rocco iniziarono a contrarre debiti e a sottrarre gioielli e denaro al patrimonio del padre Francesco. Rocco e Cristoforo furono poi uccisi nel corso di risse.
La figlia Antonia riuscì a evadere dall’ambiente familiare, grazie all’appoggio del papa Clemente VIII , sposandosi e uscendo dalla casa paterna.
Francesco arrivò ad accusare i figli maschi di tramare contro la sua vita, ma l’accusa risultò infondata. Affidò i figli minori, Bernardo e Paolo, ai preti e partì per Petrella  Salto, dove possedeva un castello, con Lucrezia, sua seconda moglie da cui aveva avuto Bernardo, e la figlia Beatrice per evitare che sposandosi, avesse bisogno di una dote.
La stessa Beatrice inviò una supplica al Papa (supplica mai consegnata) dove lamentava abusi sessuali da parte del padre.
Altre violenze paterne colpirono Beatrice quando il padre scoprì che la figlia aveva espresso analoghe denunzie in alcune lettere inviate al fratello Giacomo e ad altri conoscenti.

IL DELITTO
Il 9 settembre 1598, Beatrice e Lucrezia, decidono di uccidere il loro aguzzino.
Olimpio Galletti, ex proprietario dell’immobile, e Marzio Catalano, dietro compenso, sono disposti ad uccidere Francesco, precedentemente narcotizzato, nel sonno. L’uno conficca un chiodo nell’occhio e l’altro nella testa del predestinato (secondo altri Francesco fu ucciso da martellate alla testa e bastonate sulle ginocchia), poi lo gettano da un balcone simulando così un incidente domestico dovuto a un’accidentale scivolata.

L’ERRORE
Beatrice consegna a una lavandaia due lenzuola intrise di sangue, affermando essere la conseguenza di un’emorragia verificatasi nella notte.
A seguito dei dubbi sorti dall’esame dei luoghi e delle circostanze, la lavandaia conferma a Carlo Ticone, commissario napoletano, le stesse titubanze dato che Beatrice aveva chiesto di lavare le lenzuola urgentemente, nel medesimo giorno.

LE CONSEGUENZE.
La situazione prende una piega molto pericolosa per Lucrezia e Beatrice.
Olimpio è trovato ucciso a Terni per mano di un sicario (incaricato dal Monsignor Guerra?). Ma l’arresto è emesso quando anche Marzio, scampato all’uccisione, è catturato e rende piena confessione dell’accaduto anche se, successivamente, muore sotto le torture non prima di ritrattare tutto.
La colpevolezza dell’omicidio è attribuita a Beatrice, Giacomo, Bernardo e Lucrezia.

IL GIUDIZIO
C’era poco da scherzare: a quell’epoca le torture erano di normale amministrazione, così come ci hanno illustrato i film sull’inquisizione: il tiraggio della corda annodata alle braccia dietro la schiena con sollevamento provocavano la slogatura degli arti, il sollevamento con la corda annodata ai capelli non era sopportabile, e così via.
Tutte le più alte cariche ecclesiastiche intervengono presso Clemente VIII inutilmente; anche la difesa del giureconsulto Prospero Farinacei risulta inefficace.
Giacomo é torturato per primo e confessa; anche Lucrezia, con le braccia slogate, confessa.
Beatrice è l’unica che, pur appesa per i capelli e offesa da crudeli sevizie, continua a dichiararsi innocente fino a che non resiste al sollevamento delle braccia. Solo Bernardo è risparmiato, data la sua tenera età.
Alle 4 del mattino di venerdì 10 settembre 1599 Clemente VIII decreta la morte per tutti i membri della famiglia, ad eccezione di Bernardo, condannato ad assistere al massacro, ad essere evirato e destinato alle carceri romane.
Momenti di atrocità, non c’è dubbio, rispondenti tuttavia alle regole dell’epoca: Giacomo è anche  condannato ad essere attanagliato a fuoco sul petto e sulla schiena sul carro che lo conduce al supplizio finale.
La mattina dell’11 settembre 1599 il corteo sfila tra ali di folla commossa e impietosita che già odiava Francesco Cenci e commisera la giovane Beatrice.
Lucrezia, svenuta, è adagiata su una panca e le viene mozzata la testa. Beatrice è decapitata dalla mannaia del boia. Giacomo ha la testa sfracellata da un colpo di mazza e il cadavere è squartato.

EPILOGO
Il boia Mastro Alessandro Bracca morì 13 giorni dopo le esecuzioni, tormentato dal rimorso del dolore inflitto agli imputati e, in particolare, per l’attanagliamento con ferri roventi sul corpo di Giacomo.
Il boia Mastro Peppe fu accoltellato un mese dopo, proprio vicino al luogo delle esecuzioni.
Prima ancora delle esecuzioni, fu acciuffato il sicario di Olimpio, inviato dal Monsignor Guerra. Questi, colpito da un mandato di comparizione, si finse carbonaio, tutto sporco di nero, zoppicante e malvestito per le vie di Roma, finché riuscì a lasciare la città.
Clemente VIII espropriò tutti i beni dei Cenci (compreso il quadro di Beatrice attribuito da alcuni a Guido Reni) e poi vendette tutto ai Borghese ad un prezzo simbolico, riscuotendo  ovvie e giustificate reazioni popolari, nel sospetto che le condanne e le crudeltà rispondessero a ben precisi scopi economici.

Le vicende della famiglia Cenci suscitarono l'interesse popolare e numerosi artisti, sia pittori che letterati, vi trovarono ispirazione per le loro opere: film, drammi e libri ancora destano l’attenzione del pubblico.
 
LA DIFESA
Francesco Cenci era ricchissimo e destava invidie da parte degli aristocratici romani e del papa Clemente VIII che era ansioso di espropriarlo di tutti i beni.
Grazie alle ricchezze possedute Francesco riteneva di poter condurre una vita autonoma e separata dai conflitti e inciuci tipici dell’epoca in cui viveva, protetto dall’appartenenza al Senato Romano e dalle nobili origini che gli garantivano forti relazioni clientelari, consentendogli atteggiamenti aggressivi contro la potente nobiltà papalina.
Orgoglio o errore di valutazione? Fu oggetto di accuse orrende e non fu riconosciuta la sua rettitudine; a causa di condanne ingiuste fu imprigionato come omosessuale e costretto a pagare somme ingenti che impoverivano la famiglia e lo costringevano a risparmi anche nei confronti dei figli, che invece anelavano a carpirgli le ricchezze.
Condusse moglie e figlia a Petrella Salto per sottrarle agli intrighi di corte.
Nel 1594 gli fu sequestrato addirittura circa un quinto del patrimonio, corrispondente all’incredibile somma di 100.000 scudi, a seguito di una diffamante accusa di sodomia.
Fu ridotto in povertà, malato di rogna e fu ospitato a Roma presso l’Ospedale degli Incurabili.
Queste furono le cause del peggioramento del suo carattere, una volta tornato a Petrella, e dell’odio della moglie e della figlia Beatrice, ma tutte le condanne derivarono da confessioni estorte “per tormenta”.
Dalle indagini archivistiche di Antonio Bertoletti del 1879 Beatrice risultò avere 22 anni e non 16 (com’era ritenuto); la giovane aveva come amante segreto Marzio Catalano, da cui avrebbe avuto un figlio.
Clemente VIII fu indotto al rigore della condanna anche perché proprio in quel periodo si erano verificati due casi di matricidio e di fratricidio. Dalla documentazione risulterebbe che egli abbia lasciato una cospicua somma di denaro a favore del figlio illegittimo, affidato a Catarina de Santis.
"I cadaveri furono lasciati sino alle 23 hore in pubblico spettacolo, cioè le donne in un cataletto per una con torci accesi intorno, et Giacomo attaccato in pezzi"

Ogni anno l’11 settembre nella chiesa di San Tommaso ai Cenci la Confraternita dei Vetturini fa celebrare una messa in ricordo del supplizio di Beatrice e Giacomo Cenci.

LA PAROLA ALLA GIURIAstorieeleggendediroma-adri.blogspot.com

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