Il giudice:
“In nome della legge…”
Il popolo:
“Giustizia è fatta…”
“Ti amo”, “Ti
voglio bene”, “Amore mio”
Sono tutte
frasi ripetute e spesso abusate, insieme alla colorita espressione “Cornuto”
(che non si riferisce proprio e soltanto
agli animali), da quando il genere umano ha smesso di balbettare (bei
tempi!) e si è imposto un’organizzazione.
E’ in questa
situazione che fatti acclarati come indiscutibilmente veri e inoppugnabili si rivelano
poi fitti di dubbi e perplessità che incrinano i risultati e le conseguenze che
ne derivano.
Ogni anno, la
notte dell’11 settembre lo spettro di una giovane e bella ragazza decapitata
cammina sugli spalti di Castel Sant’Angelo portando la propria testa tra
le mani. La stessa visione appare nella Villa Borghese, a non più di 200
metri dal luogo dove è custodito il quadro che la ritrae.
E’ Beatrice
Cenci, figlia di Francesco e di Ersilia
Santacroce e sorella di Antonia, Giacomo, Cristoforo, Rocco, Bernardo e Paolo.
IL FATTO
All’epoca
della Roma papalina, la famiglia Cenci era ricchissima, poiché Francesco aveva
ereditato dal padre una fortuna immensa, ma era egoista, tirchio e rissoso,
guadagnandosi anche una condanna per sodomia (1598).
Francesco
faceva vivere i figli in uno stato di semipovertà.
I figli
Giacomo, Cristoforo e Rocco iniziarono a contrarre debiti e a sottrarre
gioielli e denaro al patrimonio del padre Francesco. Rocco e Cristoforo furono
poi uccisi nel corso di risse.
La figlia Antonia riuscì a evadere dall’ambiente
familiare, grazie all’appoggio del papa Clemente VIII , sposandosi e
uscendo dalla casa paterna.
Francesco
arrivò ad accusare i figli maschi di tramare contro la sua vita, ma l’accusa
risultò infondata. Affidò i figli minori, Bernardo e Paolo, ai preti e partì
per Petrella Salto, dove possedeva un castello, con Lucrezia, sua seconda
moglie da cui aveva avuto Bernardo, e la figlia Beatrice per evitare che
sposandosi, avesse bisogno di una dote.
La stessa
Beatrice inviò una supplica al Papa (supplica mai consegnata) dove lamentava
abusi sessuali da parte del padre.
Altre
violenze paterne colpirono Beatrice quando il padre scoprì che la figlia aveva
espresso analoghe denunzie in alcune lettere inviate al fratello Giacomo e ad
altri conoscenti.
IL DELITTO
Il 9
settembre 1598, Beatrice e Lucrezia, decidono di uccidere il loro aguzzino.
Olimpio
Galletti, ex proprietario dell’immobile, e Marzio Catalano, dietro compenso,
sono disposti ad uccidere Francesco, precedentemente narcotizzato, nel sonno.
L’uno conficca un chiodo nell’occhio e l’altro nella testa del predestinato
(secondo altri Francesco fu ucciso da martellate alla testa e bastonate sulle
ginocchia), poi lo gettano da un balcone simulando così un incidente domestico dovuto
a un’accidentale scivolata.
L’ERRORE
Beatrice
consegna a una lavandaia due lenzuola intrise di sangue, affermando essere la
conseguenza di un’emorragia verificatasi nella notte.
A seguito dei
dubbi sorti dall’esame dei luoghi e delle circostanze, la lavandaia conferma a
Carlo Ticone, commissario napoletano, le stesse titubanze dato che Beatrice
aveva chiesto di lavare le lenzuola urgentemente, nel medesimo giorno.
LE
CONSEGUENZE.
La situazione
prende una piega molto pericolosa per Lucrezia e Beatrice.
Olimpio è
trovato ucciso a Terni per mano di un sicario (incaricato dal Monsignor
Guerra?). Ma l’arresto è emesso quando anche Marzio, scampato all’uccisione, è catturato e rende piena confessione
dell’accaduto anche se, successivamente, muore sotto le torture non prima di
ritrattare tutto.
La
colpevolezza dell’omicidio è attribuita a Beatrice, Giacomo, Bernardo e
Lucrezia.
IL GIUDIZIO
C’era poco da
scherzare: a quell’epoca le torture erano di normale amministrazione, così come
ci hanno illustrato i film sull’inquisizione: il tiraggio della corda annodata
alle braccia dietro la schiena con sollevamento provocavano la slogatura degli
arti, il sollevamento con la corda annodata ai capelli non era sopportabile, e
così via.
Tutte le più
alte cariche ecclesiastiche intervengono presso Clemente VIII inutilmente;
anche la difesa del giureconsulto Prospero Farinacei risulta inefficace.
Giacomo é
torturato per primo e confessa; anche Lucrezia, con le braccia slogate,
confessa.
Beatrice è
l’unica che, pur appesa per i capelli e offesa da crudeli sevizie, continua a
dichiararsi innocente fino a che non resiste al sollevamento delle braccia.
Solo Bernardo è risparmiato, data la sua tenera età.
Alle 4 del mattino di venerdì 10 settembre
1599 Clemente VIII decreta la morte per tutti i membri della famiglia, ad
eccezione di Bernardo, condannato ad assistere al massacro, ad essere evirato e
destinato alle carceri romane.
Momenti di atrocità, non c’è dubbio,
rispondenti tuttavia alle regole dell’epoca: Giacomo è anche condannato ad essere attanagliato a fuoco
sul petto e sulla schiena sul carro che lo conduce al supplizio finale.
La mattina
dell’11 settembre 1599 il corteo sfila tra ali di folla commossa e impietosita
che già odiava Francesco Cenci e commisera la giovane Beatrice.
Lucrezia,
svenuta, è adagiata su una panca e le viene mozzata la testa. Beatrice è
decapitata dalla mannaia del boia. Giacomo ha la testa sfracellata da un colpo
di mazza e il cadavere è squartato.
EPILOGO
Il boia
Mastro Alessandro Bracca morì 13 giorni dopo le esecuzioni, tormentato dal
rimorso del dolore inflitto agli imputati e, in particolare, per
l’attanagliamento con ferri roventi sul corpo di Giacomo.
Il boia
Mastro Peppe fu accoltellato un mese dopo, proprio vicino al luogo delle esecuzioni.
Prima ancora
delle esecuzioni, fu acciuffato il sicario di Olimpio, inviato dal Monsignor
Guerra. Questi, colpito da un mandato di comparizione, si finse carbonaio,
tutto sporco di nero, zoppicante e malvestito per le vie di Roma, finché riuscì
a lasciare la città.
Clemente VIII
espropriò tutti i beni dei Cenci (compreso il quadro di Beatrice attribuito da
alcuni a Guido Reni) e poi vendette tutto ai Borghese ad un prezzo simbolico,
riscuotendo ovvie e giustificate
reazioni popolari, nel sospetto che le condanne e le crudeltà rispondessero a
ben precisi scopi economici.
Le vicende della famiglia Cenci suscitarono l'interesse
popolare e numerosi artisti, sia pittori che letterati, vi trovarono
ispirazione per le loro opere: film, drammi e libri ancora destano l’attenzione
del pubblico.
LA
DIFESA
Francesco
Cenci era ricchissimo e destava invidie da parte degli aristocratici romani e
del papa Clemente VIII che era ansioso di espropriarlo di tutti i beni.
Grazie alle ricchezze possedute Francesco riteneva di
poter condurre una vita autonoma e separata dai conflitti e inciuci tipici
dell’epoca in cui viveva, protetto dall’appartenenza al Senato Romano e dalle
nobili origini che gli garantivano forti relazioni clientelari, consentendogli
atteggiamenti aggressivi contro la potente
nobiltà papalina.
Orgoglio o errore di valutazione? Fu oggetto di accuse orrende e non fu riconosciuta la sua rettitudine; a causa di condanne ingiuste fu imprigionato come omosessuale e costretto a pagare somme ingenti che impoverivano la famiglia e lo costringevano a risparmi anche nei confronti dei figli, che invece anelavano a carpirgli le ricchezze.
Orgoglio o errore di valutazione? Fu oggetto di accuse orrende e non fu riconosciuta la sua rettitudine; a causa di condanne ingiuste fu imprigionato come omosessuale e costretto a pagare somme ingenti che impoverivano la famiglia e lo costringevano a risparmi anche nei confronti dei figli, che invece anelavano a carpirgli le ricchezze.
Condusse
moglie e figlia a Petrella Salto per sottrarle agli intrighi di corte.
Nel 1594 gli fu sequestrato addirittura circa un
quinto del patrimonio, corrispondente all’incredibile somma di 100.000 scudi, a
seguito di una diffamante accusa di sodomia.
Fu ridotto in povertà, malato di rogna e fu ospitato
a Roma presso l’Ospedale degli Incurabili.
Queste furono le cause del peggioramento del suo
carattere, una volta tornato a Petrella, e dell’odio della moglie e della
figlia Beatrice, ma tutte le condanne derivarono da confessioni estorte “per
tormenta”.
Dalle indagini archivistiche di Antonio Bertoletti
del 1879 Beatrice risultò avere 22 anni e non 16 (com’era ritenuto); la giovane
aveva come amante segreto Marzio Catalano, da cui avrebbe avuto un figlio.
Clemente VIII
fu indotto al rigore della condanna anche perché proprio in quel periodo si
erano verificati due casi di matricidio e di fratricidio. Dalla documentazione
risulterebbe che egli abbia lasciato una cospicua somma di denaro a favore del
figlio illegittimo, affidato a Catarina de Santis.
"I cadaveri furono
lasciati sino alle 23 hore in pubblico spettacolo, cioè le donne in un
cataletto per una con torci accesi intorno, et Giacomo attaccato in pezzi"
Ogni anno
l’11 settembre nella chiesa di San Tommaso ai Cenci
la Confraternita dei Vetturini fa celebrare una messa in ricordo del supplizio
di Beatrice e Giacomo
Cenci.
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