mercoledì 28 aprile 2010

LA PAPESSA GIOVANNA

STORIE E LEGGENDE DI ROMA: LA PAPESSA GIOVANNA

                                                                                                                                di Adriano Imperatori

E venne il tempo della Papessa…
Perdura un fatto, in quella tipica aura che aleggia nella città di Roma, permeata e vissuta tra scetticismo e menefreghismo, sospeso tra storia e leggenda, tramandato come un racconto misterioso e affascinante, da cui tutti sono attratti anche se nessuno ci crede.
Misterioso perché appare incredibile; affascinante perché riunisce passione e morte di una donna: la papessa Giovanna, alias Papa Giovanni VIII.
Una donna come Papa è quanto più dissonante e contrastante che la tradizione cristiana possa accettare e, infatti, fu il cavallo di battaglia di eretici e anticlericali negli anni che seguirono la scoperta.
Storia di passione femminile.
Giovanna, una ragazza colta e studiosa, che non rifiutava amori accondiscendenti; una ragazza come quelle che oggi vivono tra università e discoteche (negli anni 800 non c’erano ancora le “veline”), si dice che fosse inglese o irlandese.
Si narra che il padre fosse un monaco, che, dopo averle impartito una cultura religiosa, muore quando lei é in tenera età. Sola e senza mezzi di sussistenza, ricorre al suo ingegno: si traveste da uomo e frequenta un convento dove s’innamora di un giovane chierico; per questo motivo Giovanna sarebbe diventata monaco con il nome di Jhoannes Anglicus.
Laureata in teologia e forte del suo sapere, viene a Roma dove predica pubblicamente e riesce a farsi apprezzare, tanto che é invitata in Vaticano e fa carriera – come si direbbe oggi – diventando notaio e perfino cardinale.
Fin qui il racconto, anche se con qualche forzatura, potrebbe anche essere ritenuto reale.
Invece no, ecco l’esplosione…piuttosto fragorosa. Ecco che la fantasia supera la razionalità.
Alla morte di Leone IV Giovanna, donna travestita da monaco, alias Johannes Anglicus, viene eletta Papa a furor di popolo, assumendo il nome di Giovanni VIII: l’incertezza dell’evento varia nelle cronache tra l’853 e l’855..
Per ora fermiamo qui l’orologio. Com’è nata questa storia?


Nel secolo XIII (dire molti anni dopo è pleonastico) Stefano di Bourbon descrisse l’avvenimento in uno scritto; il bello (o il brutto) fu che anche le cariche ecclesiastiche in un primo tempo dettero fede al racconto.
Ne scrive per primo il benedettino Mariano Scoto, negli anni 1000, nella sua Cronaca Universale, piena di strafalcioni cronologici; negli stessi anni ne scrive il monaco Sigisberto di Ghemloux.
Ancora nel 1253 il fatto é narrato dal frate Jean de Mailly, altri riferimenti sono da attribuire a Jacopo da Varagine nella Legenda aurea e a Giovanni Boccaccio nel De claris mulieribus (figuriamoci se si fosse lasciato sfuggire una così favorevole occasione) del 1362.
Ci riferiamo a tempi bui come la notte, nella confusione di testi e avvenimenti, tempi narrati da cronisti improvvisati o dotati di ricca fantasia, tramandati da interpreti generosi nelle interpolazioni e poco affidabili. I testi, spesso apocrifi, mutano il nome di Giovanna in una serie di nomi fantasiosi, come Agnese, Gilberta, Giancia, Guglielma, Jutta.
Ne sono ancora prova gli scritti del domenicano Martin Oppanviensis, nella metà degli anni 1200, che non accennano affatto alla leggenda, mentre la sua Cronaca di Papi e Imperatori, riporta l’evento probabilmente aggiunto da un copista.
E ora facciamo correre di nuovo l’orologio.

Roma ha dunque un Papa donna e i romani non lo sanno. Giovanna non ha perduto il suo temperamento passionale ammantato da una cultura e da una religiosità conflittuale.
Si narra che trascorresse parte del tempo con un amante (chi cita un cameriere e chi un religioso) e, come il diavolo fa le pentole senza il coperchio, restò in attesa di un bebé.
E qui tamburi e timpani, tromboni e corni, piatti assordanti dovrebbero accompagnare le scene seguenti.
C’è una processione pasquale in programma, Giovanna è alle soglie del parto, ma non rifiuta la sua partecipazione alla cerimonia, ritenendo che il tempo non sia arrivato. E’ la fine della storia.
Durante il percorso, tra una folla osannante, accade l’imprevisto e Roma si accorge di avere un nuovo cittadino appena nato.
Scandalo, odio, rabbia, furore di popolo, lapidazione e tutto quello che eretici e anticlericali aggiunsero poi alla fine della povera Giovanna, strumento di una lotta religiosa antipapale, che, se, fosse vissuta veramente, avrebbe incarnato – nel giudizio di oggi e al di fuori di riferimenti religiosi – la lotta di una donna per emergere in un mondo maschilista e spesso ipocrita.
Conclusione: è accertato che una papessa Giovanna non è mai esistita. A screditare la storia e a riportarla alla sua vera natura di leggenda, anche se di dubbio gusto, fu David Blonduel, storico e pastore protestante, a metà del 1600, con argomenti inconfutabili.
I suoi studi approfonditi dimostrarono, infatti, che la processione di Pasqua non attraversava le strade indicate nelle cronache, né esistono testi affidabili sulla fantasiosa nascita. Leone IV, inoltre, regnò con certezza dall’847 all’855 e alla sua morte successe immediatamente Benedetto III, dimostrando che Giovanna non avrebbe potuto pontificare dall’853 all’855. L’iscrizione di Giovanna in una copia del "Liber Pontificalis", infine, si deve ritenere aggiunta all'incirca nel XIV secolo.
Successivamente, nel 1863, il cattolico Jhoann Dollinger sfatò del tutto gli avvenimenti tramandati nei secoli.
In effetti, la leggenda sorse a seguito dello scontro tra il papato e il sacro romano impero, quando morì Federico II e ad opera dei nemici del pontificato romano.
Gli avvenimenti accattivanti, l’ambiente fosco eppur romantico che avvolge la storia, hanno fatto sopravvivere la figura di Giovanna quasi eroina in un’epoca lontana e confusa.
Scrittori si sono cimentati in romanzi, come il greco Emmanuel Roidis (metà del 1600, ristampato nel 1961 e nel 2003), Lawrence Durrell (1973), Cesare D’Onofrio (1979), Alain Boureau (1991), Luciano Spadanuda (1996), Astrid Filangieri (2004), Herman Eleanor (2009).
Il teatro ha reso omaggio a quella figura, come al Teatro della Murata di Venezia nel 2003, al Teatro Verdi di Pordenone nel 2007, al Teatro dei documenti di Roma (2007), al Teatro Pietro Aretino di Arezzo (2007), al Teatro Alfieri di Montemarciano (2008), al Teatro Ghione di Roma (2008), al Teatro Il Primo di Napoli (2008), al Teatro Italia a Gallipoli (2009), al Teatro l’Orangerie di Roma (2009), al Teatro Michelangelo di Modena (2009.
Non è stato da meno il cinema nel 1972, per la regia di Michael Anderson con Liv Ullman nel ruolo di Giovanna e Trevor Howard in quello di Leone IV e, tra gli altri, con Olivia de Havilland, Franco Nero e Maximilian Schell.
Nel 2004 una mostra a Calcata (Viterbo) è stata dedicata alla Papessa Giovanna.
E qui ci fermiamo per necessità di spazio.
Per ultimo, c’è chi vede nella “Papessa” dei Tarocchi la raffigurazione di Giovanna, ma le opinioni sono contrastanti.

mercoledì 14 aprile 2010

La trasfusione: cenni storici


La Trasfusione: brevi cenni storici

di Adriano Imperatori




Fin dai primordi l'uomo comprese che perdere sangue vuol dire perdere la vita, riceverlo significa in astratto poter continuare la propria esistenza e migliorarne le condizioni.Molta letteratura è stata rivolta a queste ricerche, per non parlare di quella mitica e leggendaria sull'argomento, notevolmente suggestiva.



                                                                     Ippocrate di Coo


Il percorso della trasfusione si sviluppa da Ippocrate di Coo, che prescrive la somministrazione di sangue nella terapia del mal caduco, ad una notizia delle antiche scritture in cui si accenna alla guarigione di un principe lebbroso attraverso la somministrazione per via orale di sangue fresco; da Tarquinio Prisco, quinto re di Roma, che accetta il sangue della propria moglie Tanaquil, alla narrazione di Ovidio nelle sue Metamorfosi in cui la maga Medea dà nuovo vigore al vegliardo Esone fino alle varie magie stregonesche di cui è piena la cronaca medioevale e all'intuizione scientifica di Francesco Folli che ipotizzò il collegamento tra donatore e ricevente tramite un budello animale premuto ritmicamente dal medico per pompare il sangue.

                                                                 G.Rouille -Tanaquil

Fondamentale era stata all'inizio del secolo la scoperta che Landsteiner aveva fatto nelle sue ricerche notando nel sangue umano la presenza di particolari sostanze, le isoagglutinine, che permisero la classificazione dei gruppi sanguigni della razza umana e, successivamente, l'indicazione del fattore responsabile di accidenti trasfusionali, fino ad allora incomprensibili, attraverso il meccanismo di isoimmunizzazione, quel fenomeno che determina in un essere umano la produzione di anticorpi allorché esso subisce la introduzione di antigeni, come ad esempio la trasfusione di sangue umano di gruppo incompatibile.
Tale fattore, chiamato Rhesus o Rh, positivo ò negativo, ha giocato una parte importantissima nei progressi compiuti dalla clinica e dalle ricerche di laboratorio.


                                                                     Karl Landsteiner

martedì 13 aprile 2010

Nasce l’Avis Roma: IL PERIODO STORICO



1937: nasce l'Avis comunale di Roma
di Adriano Imperatori

E’ il 1937
Un kg di pane costa lire 1,60, un litro di olio 6 lire, 1 kg. di zucchero 6 lire, il caffè 3,5 lire l’etto, un abito comune uomo lire 235, una cucina economica “4 zampe” 200/300 lire, il primo ferro da stiro elettrico 40-60 lire, un litro di benzina 6 lire, pari a 4 chili di pane.


Il salario giornaliero di un bracciante agricolo è di circa 6 lire, circa 180 lire mensili; lo stipendio di un operaio specializzato o di un impiegato è di circa 350-420 lire, quello di un laureato di livello elevato 800 lire. Chi occupa una poltrona importante a fine mese porta a casa circa 3000 lire.
Una “colf” delle case signorili prende circa 70 lire mensili.La spesa alimentare si fa per strada, sulle bancarelle che a Roma sono più di 10.000.Ogni mattina entrano in città contadini con carretti pieni di viveri freschi.La parola “supermercato” non esiste nel vocabolario italiano.Poche case hanno un gabinetto dentro casa. Bisogna uscire sul balcone dove uno stanzino maleodorante offre un buco nero senza fondo a chi vi entra.Ed ecco comparire su un famoso catalogo un’offerta che alletta le giovani coppie: una “latrina da camera”, in versione normale (lire 35) o in versione lusso (lire 69).

Un segno dei tempi moderni. D’inverno non si prenderà più il freddo sul balcone.
Negli uffici pubblici e privati appaiono strane vaschette metalliche che contengono gesso o calce: sono le sputacchiere. Si tenta di diffondere un po’ di igiene.Per lo stesso motivo cominciano a far bella mostra per le strade gli antichi, seppur ridisegnati, Vespasiani per gli uomini. Le donne continuano a recarsi al bar.
Sono ancora lontani i tempi dei gabinetti chimici a gettone


Moneta da 10 centesimi.



E’ un anno di film famosi.




Walt Disney annuncia il suo primo lungometraggio animato, "Biancaneve e i sette nani”.

Escono: La grande illusione di Jean Renoir, Orizzonte perduto di Frank Capra,Il Signor Max di Mario Camerini, Scipione l’Africano di Carmine Gallone, E’ nata una stella di William. A. Wellman, Il prigioniero di Zenda di Jhon Cromwell, Il bandito della Casbah di JULIEN Duvivier, Uragano di John Ford.

"E’ arrivata la felicità" di Frank Capra vince l’Oscar per la regia.
In Spagna infuria la guerra civile.Il 15 marzo a Chicago apre la prima banca del sangue al mondo.In aprile a Roma si inaugura Cinecittà.

Francobollo commerativo per i 70 anni di Cinecittà




Pubblicità 1937


Il 6 maggio, alle 19,25, il dirigibile tedesco LZ 129 Hindenburg prende fuoco e viene completamente distrutto nella Stazione Aeronavale di Lakehurst nel New Jersey.




A luglio l'Impero giapponese riprende l'attacco militare alla Cina.
A dicembre l'Italia esce dalla Società delle Nazioni.

La Maserati di Francesco Saveri vince la Targa Florio. in 2h55'49"media 107,704 kmh.



Cesare Del Gancia vince la Milano-Sanremo in 7h 31’ 30”

Nello stesso anno:
· nascono persone che faranno parte della storia dello spettacolo: Dustin Hoffman, Paolo Conte, Renzo Arbore, Bruno Lauzi, Jhonny Dorelli, Robert Redford, Enzo Cerusico, Ugo Pagliai, Jane Fonda, Anthony Hopkins, Renzo Piano..
. muoiono altri personaggi che lasciano una traccia nella società: Antonio Gramsci, Guglielmo Marconi, Vincenzo Lancia, Gorge Gershwin, Pierre de Coubertin.

Il 17 dicembre 1937 Roma è inondata dal Tevere.E’ un periodo vivace, denso di mutamenti, prodomo di avvenimenti tragici che impegneranno tutti i continenti. L’anno seguente, il 12 marzo, le truppe tedesche entreranno in Austria e sarà solo l’inizio.
E’ il 1937.A Roma si costituisce l’AVIS, l’Associazione Volontari Sangue.


La “pratica” della trasfusione ha origini così lontane che solo rileggendo i miti, la storia e la letteratura si può provare un’emozione che, in qualche modo, ci fa riflettere sull’entusiamo che oggi attribuiamo alla trasfusione ritenuta un traguardo del mondo moderno.Chi ricorda che Ippocrate di Coo prescriveva la somministrazione di sangue nella terapia del malcaduco?Nelle scritture antiche si narra di un principe lebbroso che guarisce dopo aver bevuto sangue fresco.Tanaquil, moglie di Tarquinio Prisco, donò il proprio sangue al marito.Ovidio narra di un vecchio, Esone, che riacquistò giovinezza a seguito di una cura di sangue praticatagli dalla maga Medea.

Nel 1937 nasce l'Avis Roma


Nasce l'Avis comunale di Roma
                                                                di Adriano Imperatori



E’ il 1937.Sulle orme del prof. Vittorio Formentano, fondatore dell’AVIS a Milano nel 1927, il prof. Franco Recchia costituisce l’Associazione Volontari Italiani Sangue a Roma.


                                                    Una delle prime foto dei volontari Avis

La sollecitazione proviene dalla sempre crescente richiesta della preziosa risorsa da parte degli ospedali e delle strutture mediche, in parte dovuta anche ai progressi clinici e chirurgici. Rispondono alla chiamata 486 donatori che offrono 816 donazioni.

Trascorrono gli anni. L’Italia è in guerra. Cresce la richiesta di sangue ed è sempre più difficile reperire i donatori. Gli uomini scrivono alle famiglie dal fronte bellico e tra le donne non si è ancora diffusa la cultura della donazione.Quando il sole riprende a splendere sui ricordi troppo crudi, gli italiani si guardano intorno con vago sgomento, ma si ricomincia con tenacia. Anche l’Avis Roma acquista nuova forza e nel 1948, presso l’Aula Magna dell’Istituto Eastmann, il prof Recchia, ancora Presidente della sezione Romana, incontra il Presidente nazionale, prof. Formentano.

                                      Prendono nuova vita i contatti tra le due realtà dei volontari Avis.


E’ il 24 ottobre 1954. Il prof. Recchia è eletto Presidente onorario e il dott. Vittorio Agamennone assume la carica di Presidente della sezione romana. In quella sede sono stabilite le linee di operatività che non muteranno per i successivi 10 anni.Dal 1937 al 1954 sono state effettuate 41.640 donazioni (pari a 10.812 cc. di sangue). Nello stesso anno 1954, il 23 marzo, in Campidoglio sono state assegnate 10 medaglie d’oro, 24 medaglie d’argento, 50 medaglie di bronzo e 30 diplomi di benemerenza ai donatori più meritevoli.La stampa riporta la notizia della cerimonia su 158 articoli pubblicati su vari giornali.

E’ il 1951. Si costituisce il CRAL AVIS finalizzato ad attività ricreative.



18.12.1954 Il Sindaco di RomaSalvatore Rebecchini consegnaa Avis Roma una medaglia d’oro

Verso la fine degli anni 50 il Centro trasfusionale AVIS, presso il Policlinico Umberto I si arricchisce di due locali: un laboratorio di Immunoematologia e una Sala per Raggi X (intestata alla memoria della Medaglia d’oro prof. Franco Recchia).

In quegli anni, l’Avis ebbe il grande merito di portare avanti il settore della donazione e della trasfusione di sangue, sostituendosi alla carente struttura ospedaliera e introducendo nuove tecniche anche a costo di onerosi investimenti.Leggi successive attribuirono il compito alle strutture mediche pubbliche. Il fatto fu considerato all’inizio un danno, tuttavia, quando la società prese coscienza dell’importanza del problema, le medesime strutture pubbliche seppero adeguarsi nei metodi e nelle tecnologie. Oggi tra le Associazioni di donatori del sangue dei maggiori Paesi esiste una completa sinergia.Il 29 gennaio 1956 Padre Lisandrini, noto conferenziere dell’epoca, intrattiene gli avisini. Nel 1957 è acquistata un’autoemoteca.Nel 1959 una grande manifestazione podistica (“La fiamma dell’amore e della pace”) - anteprima delle successive maratone che ancora oggi vedono la presenza dell’AVIS Comunale di Roma – impegna una squadra di avisini per portare la fiaccola dal Santuario di Fontebranda (Siena) alla Basilica della Minerva a Roma. Il tragitto è seguito da elettrizzanti manifestazioni del pubblico plaudente.
E’ il 1960: trionfa la TV di Stato. Si succedono trasmissioni di quiz e di intrattenimento per le famiglie. Il rimpianto presentatore Mario Riva invita un centinaio di iscritti all’AVIS a presenziare alla trasmissione “Il Musichiere”.Si sta scrivendo la nuova storia della RAI e nello stesso anno un altro apprezzato presentatore radiofonico, Giovanni Gigliozzi, trasmette in diretta, nella trasmissione “Campo dei fiori”, dal cinema teatro Maestoso, la Festa del donatore. Sono presenti oltre 3000 spettatori.



Il 22 febbraio 1964 il dott. Agamennone si dimette dalla carica di Presidente. Il 19 giugno dello stesso anno è nominato il Direttore Sanitario dott. Ennio Pompei e il 20 agosto 1966 il Consiglio direttivo dà inizio ad una nuova fase di attività.Si avvia una riorganizzazione del personale su nuove linee di attività; nel 1968 è acquistata una autoemoteca, il precedete giornale “Volontari del sangue” è sostituito dal nuovo “AVIS-Roma”.Ma le risorse non sono sufficienti e dopo alcuni anni non sarà più stampato.Nelle nuove direttive rientra, nel 1970, anche l’acquisto dell’attuale sede in Via Imperia 2, di varie attrezzature tecnico-sanitarie (tra le quali l’autoanalyzer completo e la centrifuga a sistema automatico per i test di Coombs).Spese delle attrezzature rimaste purtroppo vuote, allorché la Riforma sanitaria attribuisce i compiti specifici ai Centri trasfusionali.Nello stesso anno 1970 è costituita la dimenticata squadra di calcio “AVIS Torre Maura” i cui risultati non si trovano più neanche su Internet.


                                                       1969 Il n.3 del giornale Avis Roma


Nel 1973, in occasione della Festa del donatore, è distribuito l’annuario dell’AVIS con tema “La donna”, iniziando così la diffusione della cultura della donazione presso una categoria prima trascurata.Nel 1974 sono diffusi i “Quaderni di AVIS Roma”.

Nel 1982 al Presidente dott. Gennaro Valente succede di nuovo Ennio Pompei.Ma gli anni corrono.Incontri istituzionali, onorificenze, costituzione di gruppi aziendali, parrocchiali e scolastici, diffusione della cultura della donazione presso la cittadinanza, interventi comunali e regionali, maratone sportive, spettacoli pubblici, informatizzazione delle attività avisine, ristrutturazione della sede romana, sponsorizzazioni, aggregazioni interreligiose, donazioni (nuova autoemoteca), annuali Feste del donatore in un’atmosfera di comune solidarietà, gemellaggio con l’AVIS Milano.Continua l’incessante opera di volontariato a beneficio della cittadinanza.Il resto è storia di oggi.

lunedì 12 aprile 2010

La Repubblica romana




La Repubblica romana
    di Adriano Imperatori

Il 1848 fu un anno decisivo per l’Italia e per l’Europa.
Se questo fosse un film, scorrerebbero i nomi di molti personaggi che hanno lasciato una traccia quell’anno: Carlo Alberto, Aurelio Saffi, Carlo Armellini, Giuseppe Mazzini, Giuseppe Garibaldi, Daniele Manin, Niccolò Tommaseo, Guglielmo Pepe, Ferdinando II di Borbone, Carlo Pisacane, Alessandro Poerio, Goffredo Mameli, Enrico Cernuschi, Luciano Manara, Radetzky, Napoleone III, Il generale Nicolas Charles Victor Oudinot, Leopoldo II di Toscana, tanti altri ancora e Papa Pio IX (Giovanni Maria Mastai Ferretti).


                                          Pio IX non sapeva che sarebbe stato l’ultimo “Papa re”.

Appena un secolo e mezzo fa i Papi guerreggiavano, avevano un esercito da combattimento, nelle piazze il boia (a Roma era famoso Giovan Battista Bugatti detto Mastro Titta) aveva il suo lavoro assicurato tra impiccagioni, decapitazioni e squartamenti e le teste dei delinquenti seccavano in cima alle picche, mentre nei cortili si fucilavano i rivoltosi.
Eppure Pio IX (eletto il 16 giugno 1846) era accettato dai cittadini del suo Stato, che comprendeva parte delle attuali regioni Lazio, Umbria, Marche, Emilia e Romagna, poiché aveva manifestato propositi liberali vicini alle attese della popolazione e, infatti, aveva concesso un’amnistia ai condannati politici, la libertà di stampa e, il 14 marzo 1848, una Costituzione. Egli stesso si definiva un “Parroco di campagna”, era semplice e idealista, un uomo di Dio: un Capo che si trovò ad affrontare eventi complessi e conflittuali tra ideali politici e religiosi. In effetti, nel corso del suo pontificato, Pio IX si trovò a gestire il momento storico della nascita anche in Italia di un moderno stato nazionale unitario.
Quanto ai romani, Enrico Meloni in un suo articolo ricorda come lo studioso tedesco Gregorovius parlava a tal proposito di "un popolo bambino”, grazie alle opere di assistenza e beneficenza pontificie che toglievano l’ansia del vivere e delle responsabilità concrete, concetto oggi riassumibile nelle marcate espressioni gergali: ”chi se ne frega” e “tiramo a campà”.
Eppure quel popolo “bambino” si svegliò adulto e tirò fuori – come dice Meloni – il carattere sanguigno, essenziale e un po’ guascone.
Il 15 novembre 1848, a Roma, accadde un “fattaccio”, non uno dei tanti attentati, ma un assassinio politico: sul Colle Vaticano fu ucciso il Conte Pellegrino Rossi, Capo del Governo Pontificio.
Che cosa stava succedendo? Facciamo un passo indietro.

Ancora oggi vive l’espressione “faccio un 48” a proposito di episodi personali che non soddisfano chi pronuncia la frase.
In effetti, il 1848 fu l’anno in cui si manifestarono in Europa idee e azioni popolari contro i poteri politici che, dal 1815 (Congresso di Vienna), reprimevano le richieste delle popolazioni verso aperture democratiche.
Per questi motivi, non disgiunti da difficoltà economiche, nel 1848 avvennero insurrezioni a Palermo e Messina contro il potere borbonico, a Parigi, Vienna, e a Venezia, Milano, Como contro il dominio austriaco.Il successo ottenuto dai rivoltosi a Milano, dopo cinque giornate di aspri combattimenti (18-22 marzo 1848) spinse il re di Sardegna Carlo Alberto, il 23 marzo di quell’anno, a dichiarare guerra all'Austria: la prima guerra di indipendenza.


                                                            Carlo Alberto di Savoia

 
Gli intellettuali e le popolazioni insofferenti del governo austriaco videro in Carlo Alberto il loro liberatore e al loro entusiasmo si aggiunsero tutti coloro che lottavano per affrancarsi dall’autorità dei governanti locali. Nel segreto delle riunioni settarie si guardò ai Savoia come i liberatori dell’intera penisola, anche se in un primo momento proprio i governanti locali vollero affiancarsi ai 30.000 piemontesi nella guerra contro l’Austria.
Il Granducato di Toscana inviò 7.000 soldati e il Regno delle Due Sicilie partecipò con 16.000 unità.
La guerra allo straniero coinvolse anche lo Stato Pontificio, tant’è che Pio IX inviò 7.500 soldati, ingraziandosi così tutti coloro che si sentivano moralmente vicini ai patrioti che avevano osato ribellarsi all’Austria, anche perché il Regno Sardo appariva, al momento, l’unico riferimento concreto per un cambiamento radicale della situazione politica.
Il popolo romano (ma si dovrebbe parlare dei pochi cospiratori che agivano in segreto) era pervaso da due idee che in qualche modo si cercava di far convivere: da un lato si auspicava l’affermazione di idee democratiche entro lo Stato pontificio, dall’altro si pensava che la vittoria del Re piemontese contro l’Austria avrebbe potuto continuare attraverso tutto il territorio italico.
Se questo fosse un film, qui apparirebbe la scritta di “fine del primo tempo”.
Invece no. Questo non è un film e tutto precipitò di minuto in minuto.
Fu opera di emissari austriaci o della Curia pontificia o fu lo stesso Pio IX ad avere una crisi di coscienza? Non c’erano in Austria ferventi cattolici? Era possibile che un Papa combattesse contro i suoi fedeli? E se fosse stato proclamato uno scisma religioso?
La situazione di fondo manifestava la conflittualità tra la posizione di un Papa che era contemporaneamente il capo della Chiesa Universale e il Capo di uno Stato, con tutte le implicazioni sociali e politiche connesse al duplice ruolo (potere spirituale e potere temporale): un problema di coscienza per il Papa e di difficile comprensione per i sudditi.
Nel corso del concistoro del 29 aprile 1848 Pio IX pronunciò la storica allocuzione “Non semel” (Non è la prima volta…), sconfessando la guerra contro l’Austria e inducendo, indirettamente, anche Ferdinando II di Borbone a ritirarsi dal conflitto.
Non si può ignorare che proprio il giorno dopo, il 30 aprile, i Regi Carabinieri si coprirono di gloria nella storica carica nella battaglia di Pastrengo, anche se poi, il 5 agosto Carlo Alberto chiese un armistizio e l’Impero Austriaco rientrava nei suoi antichi confini, stabiliti nel 1815 dal Congresso di Vienna, ad eccezione di Venezia, che si preparava a subire un lungo assedio.
V.Giacomelli - La Battaglia di Pastrengo
Il nuovo atteggiamento del Papa non piacque al popolo e fu causa di forti malcontenti che portarono a tumulti di piazza, culminanti nell’assassinio del Conte Pellegrino Rossi e in un tentativo di assalto al Palazzo del Quirinale.
Pio IX comprese che la situazione era gravissima e, temendo per la propria persona, il 15 novembre 1848 fuggì di notte, vestito da prete, trovando accoglienza a Gaeta, presso Ferdinando II delle Due Sicilie.
(Tra l’altro, la permanenza ebbe momenti di svago e gradimento allorché il Papa salì per la prima volta su un treno, l’8 settembre 1849, percorrendo la linea Napoli-Portici e visitò, il 23 settembre dello stesso anno, le officine ferroviarie di Pietrarsa). Roma, intanto, era rimasta senza governo: era giunto il momento tanto atteso dai democratici. L’occasione fu colta da personaggi che già agivano in nome di movimenti patriottici. Improvvisamente la Città era diventata l’unica realtà italiana libera da governi autoritari e i patrioti accorrevano con le loro idee e i loro sogni di libertà: Mazzini, Garibaldi con una sua legione, Saffi, Pisacane, Mameli, Cernuschi e, più tardi, Manara con 600 bersaglieri.

Milano - Monumento a Luciano Manara
Un governo provvisorio convocò le elezioni per il 21-22 gennaio 1849, alle quali parteciparono 25.000 cittadini su 35.000 elettori, nonostante la scomunica promessa da Pio IX a coloro che avessero votato. La nuova assemblea, il 9 febbraio 1849, proclamò la Repubblica Romana, guidata da un triumvirato composto da Giuseppe Mazzini, Aurelio Saffi e Carlo Armellini ed emanò il Decreto Fondamentale del nuovo Stato. (Se si guarda alla provenienza dei triumviri, curiosamente, solo Armellini era romano: aveva 72 anni).
Il nuovo governo promulgò una Costituzione che, ancora oggi, è oggetto di ammirazione anche riguardo ai tempi ristretti impiegati per la sua ideazione. Nel documento sono presenti, infatti, principi accettati in Europa dopo circa un secolo; principi che in quegli anni potevano essere solo oggetto di teoriche discussioni popolari (tra gli altri: il suffragio universale, l’abolizione della pena di morte, la libertà di culto, la soppressione dell'Inquisizione e della censura ecclesiastica e la nazionalizzazione dei beni ecclesiastici, valutati a 120 milioni di scudi).
Non meraviglia che Pio IX reagisse al suo spodestamento: Roma non era solo la sede del suo potere temporale, essa era soprattutto la sede della Chiesa Universale. Perciò il Papa chiese aiuto alle potenze cattoliche ottenendo l’intervento della Francia repubblicana di Luigi Napoleone Bonaparte, poi Napoleone III.

F.X.Winterhalter -Napoleone III
Era l’aprile del 1849. A Civitavecchia sbarcarono i primi 7.000 soldati francesi, con la dotazione del famigerato fucile a retrocarica "chassepot” al comando del generale Oudinot che avrebbe dovuto impadronirsi di Roma facendo finta di proteggerla.
I difensori di Roma non si fecero sorprendere e il 30 aprile 1849, sotto la guida di Garibaldi, sconfissero le preponderanti forze francesi nella battaglia di Porta Cavalleggeri.
Per conquistare la città i francesi dovettero attendere copiosi rinforzi, ammontando così a 35.000 combattenti contro 20.000 difensori e 100 pezzi di artiglieria.
La situazione precipitava, Oudinot respingeva un accordo firmato il 31 maggio da Ferdinand Lesseps, un diplomatico plenipotenziario delegato dal Bonaparte, con i triumviri e il 1 giugno annunciava la ripresa del conflitto per il 4 giugno. Ma proditoriamente alle ore 3 del 3 giugno i francesi, non rispettando la tregua, attaccarono. Erano in 20.000, avevano 36 cannoni da campagna e 40 da assedio.
Se questo fosse un film, a questo punto “arriverebbero i nostri”, ma non è così: questa é storia.
Nonostante le forze preponderanti, i francesi solo dopo un mese riuscirono a fare una breccia nelle mura del Gianicolo, nonostante la strenua difesa da parte dell’esercito repubblicano e dei volontari di Garibaldi. La stessa sera Mameli (22 anni), autore dell’Inno nazionale, già ferito il 30 aprile a Porta Cavalleggeri, venne colpito ad una gamba, che fu amputata, e morì il 6 giugno. Il 30 anche Manara (25 anni) venne ucciso.
I francesi entrarono a Roma 3 luglio 1849 e il Papa vi fece ritorno il 12 aprile 1850: ovviamente, abrogò immediatamente la Costituzione concessa nel marzo di due anni prima.
Scarsa consolazione della sconfitta fu la denuncia che Qurico Filopanti consegnò agli ufficiali francesi, ricordando che l'art. V del Preambolo della Costituzione repubblicana francese del 4 novembre 1848 assicurava che la Repubblica Francese “non adopera mai le sue forze contro la libertà d'alcun popolo".
Così la Repubblica Romana svaniva come un sogno prima del risveglio, ma gli ideali, il coraggio, la correttezza morale dei suoi artefici e il confronto di molte figure di primo piano del Risorgimento hanno conquistato per sempre un posto di rilievo negli avvenimenti che si sono succeduti nel processo di unità nazionale.
Nei momenti successivi, agli artefici di quelle giornate memorabili toccò una sorte immeritata. Nella fuga da Roma verso Venezia, Garibaldi vide morire la moglie Anita, già malata; Mazzini, Pisacane e gli altri fondatori della Repubblica fuggirono direttamente all'estero; Angelo Brunetti detto Ciceruacchio, catturato dagli Austriaci, fu fucilato a Rovigo con il figlio tredicenne Lorenzo (forse coinvolto nell’accoltellamento di Pellegrino Rossi).


                                   La fattoria Guiccioli dove morì Anita in fuga con Garibaldi

A proposito di Ciceruacchio, ex carrettiere, tipico esponente di quei popolani – come scrive Enrico Meloni – che possono considerarsi più il prodotto di suggestioni esterne che di rivendicazioni interne, Giggi Zanazzo recita nella sua opera "Tradizioni popolari romane": "Si nun fusse stata quela ventata de popolarità in der 1848, che lo strascinò e lo accecò, forse sarebbe morto in casa sua, in der su' letto (…)".
Prima della parola “fine”, vale la pena accennare alle complesse e articolate posizioni che ancora oggi sono assunte dagli storici sulla situazione politico-locale che provocò il conflitto romano. Causa ed effetto: due considerazioni che possono essere superate dal significato che la Repubblica Romana ebbe nell’evoluzione della nazione Italia.

Roma - Busto di Ciceruacchio

Concerto Gospel

Concerto Gospel per la vita
                                                                                                                            di Adriano Imperatori

“Signore e Signori , oggi assisteremo a un magnifico pomeriggio musicale”.
Così chi scrive ha iniziato la presentazione dei due cori Gospel (Gospel in inglese significa Vangelo), che si sarebbero esibiti quel giorno, 23 gennaio u.s., presso la Chiesa anglicana All Saints in via del Babuino, a favore dell’Avis Comunale di Roma.
La musica Gospel ha origini religiose afro-americane e, per le sue caratteristiche, ha differenziato la Chiesa nera dalla Chiesa bianca, con sfumature attenuate dagli anni 50.
Durante i secoli XVII e XVIII, i Neri schiavi cantavano la loro musica mentre erano costretti a lavorare nelle piantagioni; convertiti al Cristianesimo dai predicatori battisti e metodisti, cominciarono a cantare brani religiosi e nacquero gli “Spirituals”, come rielaborazione in chiave cristiana della musica rituale africana.
Tra l’altro, nel periodo di repressione dei Neri, i canti Gospel costituirono anche una simulata protesta politica da parte di gente che non aveva altre possibilità di manifestazione (“Quando andrò in cielo canterò e griderò / Perché nessuno mi zittirà”).
Oggi cantanti famosi nel genere (Golden Gate Quartet, Clara Ward, Al Green, Solomon Burkeecc.) si esibiscono anche nei night club.
Già negli anni ’20 la musica Gospel rappresentava una manifestazione spontanea dei fedeli che, durante la celebrazione religiosa, a fronte di una frase del Vangelo o della Bibbia pronunciata ad alta voce dal pastore, rispondevano parlando, cantando e ballando con l’accompagnamento, talora, di strumenti musicali.
Oggi questo genere è identificato con cori di massa cui fa da contraltare una voce solista e, per tutti, è significativo il successo della celebre "Oh happy day" (autore Edwin Hawkins).

Edwin Hawkins


Negli anni ’30 il Gospel.fu reso famoso da grandi artisti, come Thomas A. Dorsey (chiamato "Padre della musica Gospel contemporanea"), Sallie Martin, Willie Mae, Ford Smith, mentre le chiese più conservatrici osteggiavano la diffusione di quella musica come peccaminosa. Tuttavia, il successo popolare indusse nuovi artisti a esibirsi, anche senza accompagnamento strumentale, come il Golden Gate Quartet.

Golden Gate Quartet


Negli anni ’40-’50 la musica Gospel si affermò in maniera decisiva soprattutto nei quartetti, lasciando un margine di grande successo a donne soliste, come Mahalia Jackson e Bessie Griffin. Negli stessi anni ’50 sono entrati nella leggenda Aretha Franklin e Ray Charles.


Areta Franklin

I due cori che si sono esibiti nella Chiesa di Via del Babuino hanno dimostrato con una perfezione, meritevole degli applausi ricevuti, l’aderenza alla musica Gospel contemporanea, con una struttura disciplinata in grado di manifestare un apprezzato ritmo propulsivo e con sfumature prese a prestito dal Blues.
Il coro “Voci nel Borgo”, diretto dal maestro Gianluca Buratti, ha trasmesso sensazioni e musicalità colorata da una potenza espressiva contrapposta, in alcuni brani, a una particolare leggerezza canora, particolarmente presente, in un crescendo vivace, nel brano “Pick a bale of cotton”. Molto apprezzata la solista nel brano “Awesome god”.
Nel curriculum il coro vanta moltissime partecipazioni a manifestazioni e festival musicali ed è stato invitato ancora una volta a partecipare al Festival “Chorissimo” in Germania (marzo 2010). Il coro “All over Gospel choir”, diretto dall’irrefrenabile Giovanna Ludovici, ha trascinato il numerosissimo pubblico (“posti in piedi”) in un viaggio nel Gospel contemporaneo, passando per il Soul, il Pop e il Blues. Applauditissime le quattro soliste, alle quali la maestro Ludovici ha contribuito con la sua voce calda e aderente al genere musicale.
“You raise me up”, “This is the Gospel of Jesus Christ” e “Total Praise” sono apparse particolarmente incisive. Applausi prolungati ha meritato il brano “Hail Holy Queen”, tratto dal film “Sister act”, dal quale il coro ha tratto anche la coreografia e l’interazione indipendente tra le voci.
Il coro “All over Gospel choir” ha all’attivo una ventina di concerti e collaborazioni con l’artista Fiorello e il gruppo “Neri per caso”.
Tutta la struttura organizzativa e tecnica dei due cori (circa 70 persone) ha offerto la propria partecipazione gratuitamente, a favore dell’Avis comunale di Roma. Al riguardo, al termine delle esibizioni, sinceri ringraziamenti sono stati espressi dal Presidente onorario dell’Avis, Adolfo Camilli.


domenica 11 aprile 2010

Il Carnevale Romano


IL CARNEVALE ROMANO

                                                                 di Adriano Imperatori

“Rugantino ha fatto Gnecco”…”Rugantino ha fatto Gnecco”…
La frase urlata e mormorata s’inserisce nei vicoli, passa di bocca in bocca, attraversa Roma, arriva all’orecchio della Guardia papale…e Rugantino, innocente, è arrestato.
Chi ha visto la commedia musicale ricorda la storia di quello spaccone, innamorato di Rosetta, che si fà arrestare per amore della donna il cui marito giace accoltellato da un uomo mascherato.
E’ la prima metà del 1800. A quei tempi, durante il Carnevale Romano, i cittadini potevano mascherarsi e girare per le strade rumoreggiando, spesso avvinazzati, nascondendo la propria identità. In quell’atmosfera festosa e pericolosa non era difficile che si verificassero accoltellamenti per motivi di gelosia o di rancore.
Il Carnevale romano ha origini millenarie, risalendo ai Baccanali e ai Saturnali: la leggenda italica romana racconta che Saturno, cacciato da Giove, si rifugiò in un territorio che chiamò Latium (dal latino latere, "nascondere").
Durante quei festeggiamenti, inneggianti all’Età dell’oro, vigeva la più ampia libertà sociale: gli schiavi diventavano temporaneamente uomini liberi e i padroni erano schiavi, dando luogo a sacrifici, banchetti e orgie in pieno caos, come raccontano Seneca e Plinio il Giovane.
Si può ritenere che il cristianesimo abbia trasformato quella festa nel Carnevale, considerando l’ammessa libertà dei ruoli sociali.
Quanto al nome alcuni ritengono che esso provenga dalla locuzione "carnem levare" (“togliere la carne”) riferendo la medesima all’inizio della Quaresima.
A Testaccio, sulla “montagna dei cocci”, con un crudele divertimento, a Carnevale si lasciavano rotolare carri pieni di maiali, che si frantumavano a valle, con il popolo pronto ad arraffare i disgraziati animali (“Ruzzica de li Porci”).
Ed ecco che tutto si trasforma, s’ingrandisce, si colora, diventa una fantasmagorica baldoria popolare; la città intera si risveglia con i suoi caratteri più popolari e sfrenati.
E’ il 1464 e al soglio pontificio é chiamato Paolo II.
Paolo II, nato Pietro Barbo (Venezia, 23 febbraio 1417), fu un Papa “sui generis”. C’è chi lo definì stravagante (“Formosus laetissimo vultu, aspectuque iucundo”) e chi autoritario; eppure fece restaurare molti monumenti, tra i quali la statua di Marco Aurelio e gli archi di Tito e di Settimio Severo.

Papa Paolo II


Pensò anche alla salvezza delle anime; infatti, ricorrendo le indulgenze del giubileo ogni 50 anni e ritenendo che non tutti avrebbero potuto trarne vantaggio, portò la scadenza giubilare a 25 anni. Creò un putiferio sciogliendo il collegio degli “abbreviatori”, formato da linguisti e poeti incaricati di redigere i documenti papali.
Ma certamente fu ricordato per aver dato nuova vita al Carnevale romano che si manifestò nel suo massimo splendore.. Morì a Roma il 26 luglio 1471 per infarto, secondo alcuni, o per indigestione, secondo altri.
E’ solo immaginabile la confusione regnante per le strade, se si ricordano tutte le corse che si organizzavano: la corsa degli Asini, dei Bufali, e quelle (1633) poi abolite degli Zoppi, dei Deformi, dei Nani, degli Storpi.




Barker T.J. - La partenza
Nel 1634 il punto centrale della festa era piazza Navona, con la giostra del Saracino.
Ancora oggi si ricorda la corsa dei cavalli berberi senza fantino (ritratta da Joseph Ferrante Perry) lungo la via Lata con il lastrico coperto di finissima sabbia; gara che Paolo II volle godersi, allungandone il tracciato fino al Palazzo di Piazza Venezia, dal cui balcone si affacciava e dove i cavalli erano frenati da stallieri.
La corsa assunse tale importanza da mutare il nome della strada in Via del Corso.
La popolarità del Carnevale romano aumentò nel Sette-Ottocento, attirando nella città popolo, nobili e artisti da ogni parte e superando il Carnevale di Venezia.
Alla festa popolare i nobili partecipavano con tutto lo sfarzo e i privilegi dovuti al loro rango. Nell’occasione, la via del Corso era considerata quella che oggi si chiamerebbe “ZTL”, eppure le carrozze del senatore, degli ambasciatori, del conte d’Albany, per fare un esempio, potevano passare liberamente.
Il principe Pamphili nel 1711, sfilò circondato da ussari e così il principe Ruspoli vestito da sultano. Nel 1719 la famiglia Colonna fu presente con una fila di carri trionfali. Nel 1735, l’Accademia di Francia ideò una cavalcata di studenti truccati da cinesi e il principe Rospigliosi si presentò in costume di magnate polacco.
Nel 1763 la duchessa di Gravina Orsini interpretò Diana cacciatrice su un carro scenografico con alberi e grotte. Nel 1822 Paganini e Rossini si vestirono da donna.
E come non ricordare le considerazioni di Stendhal (“la strada più bella dell’universo”), di Goldoni (“non è possibile farsi un’idea del brio e della magnificenza di questi otto giorni”), di Casanova, Goethe, Dickens, Andersen, Gregorovius, Massimo D’Azeglio e i versi del Belli.
Tutto era uno spettacolo affascinante che oggi si può rivivere ammirando le opere dei pittori e dei musicisti che si sono riferiti a quella festa. Ne scaturisce un film il cui colore nasconde tuttavia i problemi sociali e politici dell’epoca.
Le stampe del Thomas, del Morner del Pinelli ( "Mascherata al Corso" e "Carnevale di Roma"), gli acquarelli di Ippolito Caffi ("La mossa dei barberi a piazza del Popolo" e "La corsa a Palazzo Fiano"), il quadro di Pietro Sassi ("La partenza dei barberi") e del russo Pimen Nikitic Orlov (“Festa dei moccoletti”), l’analoga incisione di H.Mòrner rappresentano con vivacità il Carnevale di Roma.
Per 8 giorni la gente era libera di mascherarsi, scorrazzare per le strade, schiamazzando in piena libertà, tra carri allegorici e lancio di uova.
“Il Carnevale di Roma non è una festa che si offre al popolo bensì una festa che il popolo offre a sé stesso” e ancora "gioia pazza e travolgente", scriveva Johann Wolfgang Goethe nel suo Viaggio in Italia.
"Il corso era un fiume di fuoco"; scriveva De Millin nelle Lettres a M.me Langlés.
Tutto questo é arricchito dalle musiche di Hector Berlioz (Symphonie fantastique - Ouverture Il Carnevale romano) e Johann Strauss (operetta “Der Karneval in Rom”).
Ed ora c’è appena lo spazio per ricordare almeno tre, tra le maschere del Carnevale romano: Rugantino, Meo Patacca e Cassandrino.
Il ritorno alla normalità era annunciato dalla “festa dei moccoletti” nella quale i balconi si illuminavano con candele e i festanti, correndo con una candela accesa, cercavano di spegnere quella altrui.
La fine del Carnevale romano fu preannunciata nel 1874, quando Vittorio Emanuele II vide morire un ragazzo investito durante la corsa dei cavalli e l’abolì. Il popolo romano, deluso, nel 1876 creò l’epitaffio: “Di Roma il Carneval qui morto giace – dorma egli alfine e Roma lasci in pace”.
Lentamente la festa cittadina si orientò al divertimento dei bambini che ancora oggi sfilano mascherati.
Roma quest’anno ha presentato un festoso Carnevale, dal 6 al 16 febbraio, inaugurato dalla Grande Sfilata di apertura a via del Corso con figuranti, artisti, maschere e saltimbanchi.
Ma forse ha ragione Marcello Rampognino quando scrive che, “Oltre a quello ufficiale, godiamo di feste mascherate estive e settimanali, in qualsiasi villaggio turistico del mondo. Abbiamo importato un’altra carnevalata come la festa di Halloween, così lontana dalle nostre tradizioni e dalla nostra cultura. Se ci guardiamo intorno, molto della moda riporta a un quotidiano Carnevale. Va così. Impazziamo tutti i giorni e non “semel in anno”, come pensavano gli antichi”.


A.Pinelli, Acquarello (particolare)

Il piede di Maddalena

http://www.avisroma.it/

                   Il piede di Maddalena
                                                            di Adriano Imperatori

Roma è ricca di monumenti e chiese e i turisti accorrono da tutto il mondo per ammirarli e per ammirare i tesori in essi contenuti.
Le chiese in particolare costituiscono, nella loro cronologia, un racconto a tre dimensioni della storia e dell’evoluzione artistica della città eterna, poiché in ogni secolo gli artisti hanno lasciato una traccia correlata allo stile dell’epoca in cui vissero.
Nelle pitture e nelle sculture, inoltre, si riconosce anche la moda nel vestire, le acconciature dei capelli preferite dai personaggi, le armi usate nei conflitti, ecc. Ma non solo.
Le chiese di Roma conservano spesso anche i segni misteriosi della cristianità la cui attrazione è legata ai racconti e alle leggende che li ammantano. Due esempi tra tutti: l’impronta sul marmo attribuita leggendariamente a Gesù, apparso a S. Pietro che fuggiva da Roma, nella chiesa del “Domine quo vadis?” sull’Appia antica e la pietra che S.Francesco usava come cuscino nella chiesa di S.Francesco a Ripa.
……………
Tanti e tanti anni fa una donna chiamata Maria, proveniente da Magdala, una piccola cittadina sulla sponda occidentale del Lago di Tiberiade, detto anche Genezaret, incontrò un uomo chiamato Gesù di Nazareth; fu affascinata dalle sue prediche e decise di seguirlo insieme ai discepoli di lui. Quella donna passò alla storia come Maria Maddalena
                                                             
                                      Icona ortodossa di Maria Maddalena



Su Maria Maddalena furono poi costruite storie e ipotesi che oggi è difficile interpretare nella loro verità.
Si scrisse che era sposata e benestante, che lasciò il marito e donò i suoi beni alla causa di Gesù, altri la ritennero nubile, alcuni la identificarono con l'adultera salvata da Gesù dalla lapidazione, altri con Maria di Bethania, sorella di Marta e di Lazzaro.
Le due identificazioni furono oggetto di confusione poiché ad entrambe fu attribuito il lavaggio dei piedi di Gesù, anche se i due episodi sono riferiti a periodi lontani l’uno dall’altro.
Tra l’altro pochi sanno che proprio papa Gregorio Magno, nel corso di una predica, identificò nel 591 Maria Maddalena come la famosa peccatrice evangelica ritenendo valida una credenza orientale e si è dovuto attendere il 1969, quando il Concilio Vaticano II annullò la confusione di Maria Maddalena con la peccatrice o con Maria di Bethania. Il chiarimento, tuttavia, ha avuto solo un’importanza formale, poiché la Maddalena era già stata proclamata Santa e la tradizione già considerava distintamente le tre Marie.
Tradizioni confuse, contrastanti, si innestarono sui personaggi; prova del grande interesse legato al loro culto religioso.
Si raccontava che il corpo della Maddalena fosse sepolto a Efeso; poi fu ritenuto trasferito nell’886 a Costantinopoli.
Invece, no.
Per fuggire alle persecuzioni le tre donne sarebbero approdate vicino al delta del Rodano, chiamata Camargue, dove un paese prese poi il nome di Saintes Maries de la Mer.
Il corpo, secondo altri, si trovava (1050) nella basilica romanica dedicata a Santa Maria Maddalena di Vezelay (nel 1979 inserita dall’UNESCO tra i Patrimoni dell’umanità), in Borgogna.
Nella chiesa gotica di Saint Maximin la Sainte Baume (metà del XIII secolo) si conserva un teschio attribuito a Maddalena, miracolosamente salvato dalla dispersione dello scheletro della Santa durante la Rivoluzione francese.
In Italia, il culto della Madddalena è celebrato dalla dedica alla Santa di alcune chiese, come quella dell’isola della Maddalena, dei duomi vicentini di Longare e di Laverda, di Desenzano e della parrocchia di Bordighera.
Ma il culto religioso non salvò il leggendario percorso delle reliquie corporali della Santa, alle quali la tradizione non poteva ignorare la destinazione italica.
Come pervenne a Roma un piede di Santa Maria Maddalena?
Forse l’impresa potrebbe essere attribuita a un frate o un viandante o un cavaliere, magari dopo un lungo e periglioso viaggio.
La santa reliquia fu allora custodita in una delle due cappelle rotonde costruite dopo il 1450 all’inizio di Ponte Sant’Angelo, l’una dedicata alla Santa e l’altra ai Santi innocenti; innocenti morti durante il Giubileo per il cedimento delle sponde del ponte, a causa dell’enorme folla che vi transitava. Ma per accrescere la difesa del ponte le cappelle furono demolite nel 1527 e il piede di Maddalena, dopo altre traslazioni, oggi è conservato in una teca nella chiesa di S.Giovanni de’ Fiorentini, all’inizio di via Giulia.



                                    Roma - S. Giovanni dei Fiorentini

Anche allora il carattere italico “la fece da padrone”, se si guarda ai tempi di lavorazione e ai conflitti e alle vicissitudini dei personaggi implicati.
Il Bramante fu autore del primo progetto. Nel 1519, sotto Leone X, fu bandito un concorso cui parteciparono Jacopo Sansovino, Raffaello Sanzio, Giuliano da Sangallo e Baldassarre Peruzzi. Il vincitore, Sansovino, iniziò la costruzione, ma fu licenziato per motivi finanziari e, soprattutto, perché le previste fondamenta apparvero insicure sul terreno sabbioso del Tevere. L’opera fu allora proseguita da Sangallo il giovane.
Niente da fare; anch’egli fu allontanato. Intervenne Michelangelo che affidò i lavori all’allievo Tiberio Calcagni. Il Calcagni non sembrò risultare all’altezza del compito e fu chiamato in aiuto Giacomo Della Porta.
Della Porta edificò la chiesa attuale, ma il successivo intervento di Carlo Maderno ne limitò il progetto e innalzò nel 1634 la cupola che aveva disegnato nel 1602.
Il Borromini intorno al 1660 realizzò l’abside. Ma l’artista era molto malato e si gettò su una spada ferendosi mortalmente e poi pentendosi religiosamente del gesto compiuto. Infine l’opera fu terminata da Alessandro Galilei tra il 1734 e il 1738 che morì senza poter ammirare la facciata completata.
Nella chiesa lavorò, oltre al Bernini, un numero grandissimo di artisti e, tra le curiosità, vi si trova la tomba di Carlo Maderno e di Francesco Borromini, oltre a quella dei Marchesi del Grillo, tra i quali Onofrio Del Grillo, ispiratore del famoso film (1981) di Mario Monicelli. Inoltre, la chiesa di S.Giovanni de’ fiorentini è una delle poche che accettano l’ingresso dei cani.
Per finire con un richiamo a Maria Maddalena, la tradizione fa risalire alla Santa perfino l’usanza delle uova pasquali.
Si narra che Maddalena, ottenuto l’invito a un banchetto dall’imperatore Tiberio, durante il pasto, tenendo un uovo in mano, esaltasse la resurrezione di Gesù. Tiberio, ridendo, sfidò la Santa dicendo che Gesù era risorto così come quell’uovo sarebbe potuto diventare rosso. E il miracolo si verificò. Da allora i cristiani ortodossi, durante il periodo pasquale, dipingono le uova e la tradizione è arrivata fino a noi.
La festa di Santa Maria Maddalena cade il 22 luglio.





Parrocchia S.Maria Maddalena
La Maddalena (SS)