domenica 15 settembre 2013

LA SEDIA DEL DIAVOLO

LA SEDIA DEL DIAVOLO


Una sera come tante altre. Alle 19,30 le persone stanno per terminare i loro acquisti e tornano alle case con i loro pensieri ed  emozioni che hanno segnato la giornata.
Un bambino accanto alla madre, un cane che finalmente vede appagato il desiderio della passeggiata, alcuni lavoratori che già pensano ai programmi televisivi o alla propria compagna che li attende, due o tre sfaccendati che passeggiano con i loro problemi e auto che circolano, nella disperazione di chi le guida per trovare un posteggio, un buco dove infilare il proprio mezzo.
Sì auto, tante auto che provengono da cinque strade tutte confluenti su quella piazza.
E’ una piazza piccola e al centro sorge un rudere circondato da una cancellata.
Attenzione però. Dopo mezz’ora su quella piazza cala  una nuova atmosfera, calda, silenziosa, quasi magica. Le persone sono scomparse, ormai nella propria casa o dentro i ristoranti della zona.
E su tutto domina quel rudere che sta nel mezzo della piazza, circondato da un’inferriata.
Era la tomba di Elio Callistio, un liberto dell’imperatore Adriano.
L’immagine di Adriano è tramandata come quella di un imperatore "buono” (secondo lo storico Edward Gibbon). Governò con tolleranza, efficienza e amò le  arti, la filosofia e si appassionò alla cultura greca.
Così, in un giorno felice del secondo secolo a.C. e per ragioni che non si conoscono, Elio Callistio si trovò “uomo libero”.
Non si sa nulla di Elio, ma certamente non era povero, anzi. Forse aveva molti denari o forse era vanaglorioso o voleva dimostrare che ormai era pari agli altri cittadini romani. Sta di fatto che, su una piccola collina, volle farsi costruire una tomba monumentale, per sé e la propria famiglia, che segnasse il suo stato di uomo affermato.
Oggi la piazza si chiama proprio Piazza Elio Callistio. Ma non fu sempre così.
Il sito si trova nel quartiere Trieste, nella zona conosciuta impropriamente come quartiere Africano, il cui nome non ha nulla a che vedere con le caratteristiche della popolazione ivi residente. Quel nome discende solo dal nome delle strade che si appellano a contrade del continente africano (viale Somalia, viale Libia, via Tripoli, ecc.).
La piazza fino agli anni ‘50 si chiamava Piazza della sedia del Diavolo e ancora oggi così è chiamata dai romani.
E’ una lunga storia.
Nel sottosuolo della piazza è stato scoperto uno dei più antichi siti archeologici di Roma, risalente all’epoca preistorica, tra 251.000 e 195.000 anni fa. La scoperta si deve a Romolo Meli che nel 1882, con le sue rilevazioni stratigrafiche, ha fatto conoscere per primo l'importanza dell'insediamento pleistocenico di Sedia del Diavolo (Il Pleistocene è la prima delle due epoche in cui è suddiviso il periodo Quaternario).
La cosa destò scalpore perché nella cava furono rinvenuti i resti di grandi mammiferi, tra cui quelli di un “Elephas antiquus”, e resti umani. Tra l’altro fu dimostrato che gli abitanti di quell’epoca erano organizzati e si davano da fare per sopravvivere, con il rinvenimento di strumenti classificati come schegge e raschiatoi.
Quando Elio Callistio fece erigere la tomba tutt’intorno era aperta campagna e i greggi pascolavano tranquilli. Ma non era sempre così.
Si dice che al calare delle ombre serali l’atmosfera si colorasse di fuochi, rumori e risse.
La tomba di Callistio diventava il rifugio di viaggiatori, di pastori, di sbandati e un mercato di prostituzione, con risse annesse. Ancora oggi sembra che i segni di fuliggine sulle pareti risalgano ai fuochi accesi per attutire il freddo notturno.
Via via che sorgevano nuove abitazioni, le persone cominciarono ad aver paura di quel monumento. La fatale decadenza delle mura cominciò a far somigliare la tomba ad una grande sedia che, per le storie tramandate, fu chiamata la sedia del Diavolo. La scarsa illuminazione fece il resto. Nel medioevo si diffuse la voce secondo la quale il Diavolo stesso si fosse seduto sul rudere provocandone il crollo parziale, dando alla tomba l’attuale forma di una grande sedia con braccioli.
Nacquero così le leggende metropolitane anche su quel rudere. Si narra che nel 1800 un pecoraio di nome Giovanni rincorresse una pecora fino alla Sedia e per tale motivo diventasse un “guaritore”. Ma non finisce qui.
Giovanni guarì un donna chiamata Assunta, affetta da dissenteria. La voce si sparse, la gente cominciò a ritenere la sedia del Diavolo quasi miracolosa e altrettanto miracolosa fu la fuga da Roma di Giovanni e Assunta accusati di stregoneria.
Torniamo alla cosiddetta Sedia del Diavolo.
Era una bella costruzione fatta con mattoni di vario colore, a due piani. Al piano superiore piccole finestre - inquadrate da colonne inglobate nella parete con funzione portante e appena sporgenti (cd.paraste) - adornavano le pareti.
Nella camera inferiore in ogni parete di aprivano due arcosoli sormontati da cinque nicchie; le nicchie erano a loro volta sormontate da piccole finestre.
Ancora oggi  l’ “arcosolium”, tipica architettura utilizzata per le tombe,  può essere ammirato nelle catacombe e in molte chiese (soprattutto dal XIII secolo): si tratta di una nicchia sormontata da un arco e nella parte inferiore della stessa nicchia, sotto la lunetta dell’arco, è inserito un sarcofago.
Le pareti sorreggevano una volta a vela e questo particolare appare strano perché in quel periodo  quell'architettura era poco usata. All’esterno, poi, l’edificio era coperto da un tetto a due falde.
Ma oggi tutto è cambiato. Non c’è più la campagna romana attorno alla tomba di Callistio e la stessa tomba è chiamata Sedia. Oggi la zona è chiamata Quartiere Africano e non è neanche un quartiere perché l’unità urbanistica amministrativa è il Quartiere Trieste (Roma ha 35 Quartieri).
Nelle stesse condizioni toponomastiche si trova il “Quartiere Coppedé”, anch’esso inserito nel Quartiere Trieste.
Strano questo Quartiere Trieste. Già in epoca storica in quell’area, e precisamente sul Monte Antenne (“ante amnes”, davanti ai fiumi Tevere e Aniene) sorse un abitato sabino, dove la tradizione vuole sia stato compiuto il cd. “ratto delle sabine”. A seguito dell’urbanizzazione nel 1909, il territorio ebbe il nome di Savoia. Nei primi anni del ‘900 Gino Coppedé fu incaricato di progettare un “quartiere” (diciotto palazzi e ventisette tra palazzine e edifici) al quale l’autore dette il proprio nome.
Finalmente, nel 1946, con la nascita della Repubblica il nome della strada principale fu scelto per denominare la zona come “Quartiere Trieste”. E mentre tutto questo avveniva la tomba di Elio Callistio, alias Sedia del Diavolo, stava lì immobile mentre d’attorno tutto si muoveva e mutava.
Strano questo Quartiere Trieste.
Nel corso della seconda guerra mondiale un povero pazzo urlava di notte nelle strade del quartiere diffondendo terrore tra la popolazione. Si sparse la voce che un lupo mannaro si aggirasse tra le vie. Il poveretto poi fu identificato e rinchiuso in un manicomio.
Nello stesso periodo qualcuno avvertì la popolazione del quartiere che i tedeschi, preparandosi alla fuga, avessero minato tutte le strade. Le smentite ufficiali alla radio non ebbero seguito e quasi tutti gli abitanti si misero a fuggire. L’intera folla passò la notte a Villa Borghese, al freddo e con le poche cose che frettolosamente erano state portate via.
Ma attenzione. Il tempo corre veloce. Qualche cosa sta mutando. Qualche cosa sta rompendo l’atmosfera notturna, silente e quasi magica intorno alla Sedia.
Persone che escono dai ristoranti, ormai sazie e con un pizzico di allegria, ad eccezione di chi deve accompagnare gli ospiti a casa e deve andare alla ricerca della propria auto parcheggiata chissà dove. Persone che appena degnano di uno sguardo quel rudere che resiste imperterrito da secoli e ricorda Elio Callistio, un liberto dell’imperatore Adriano che in un dimenticato giorno del II secolo a.C. volle dimostrare a tutti il suo stato di uomo ormai affermato e incaricò uno sconosciuto architetto di erigere il suo edificio funebre.

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