LA SEDIA DEL DIAVOLO
Una sera come
tante altre. Alle 19,30 le persone stanno per terminare i loro acquisti e
tornano alle case con i loro pensieri ed
emozioni che hanno segnato la giornata.
Un bambino accanto alla madre, un cane che finalmente vede
appagato il desiderio della passeggiata, alcuni lavoratori che già pensano ai
programmi televisivi o alla propria compagna che li attende, due o tre
sfaccendati che passeggiano con i loro problemi e auto che circolano, nella
disperazione di chi le guida per trovare un posteggio, un buco dove infilare il
proprio mezzo.
Sì auto,
tante auto che provengono da cinque strade tutte confluenti su quella piazza.
E’ una piazza
piccola e al centro sorge un rudere circondato da una cancellata.
Attenzione
però. Dopo mezz’ora su quella piazza cala
una nuova atmosfera, calda, silenziosa, quasi magica. Le persone sono
scomparse, ormai nella propria casa o dentro i ristoranti della zona.
E su tutto
domina quel rudere che sta nel mezzo della piazza, circondato da un’inferriata.
Era la tomba di Elio Callistio, un liberto dell’imperatore
Adriano.
L’immagine di
Adriano è tramandata come quella di un imperatore "buono” (secondo lo
storico Edward Gibbon).
Governò con tolleranza,
efficienza e amò le arti, la filosofia
e si appassionò alla cultura greca.
Così, in un
giorno felice del secondo secolo a.C. e per ragioni che non si conoscono, Elio
Callistio si trovò “uomo libero”.
Non si sa
nulla di Elio, ma certamente non era povero, anzi. Forse aveva molti denari o
forse era vanaglorioso o voleva dimostrare che ormai era pari agli altri
cittadini romani. Sta di fatto che, su una piccola collina, volle farsi
costruire una tomba monumentale, per sé e la propria famiglia, che segnasse il
suo stato di uomo affermato.
Oggi la
piazza si chiama proprio Piazza Elio Callistio. Ma non fu sempre così.
Il sito si trova nel quartiere Trieste, nella zona
conosciuta impropriamente come quartiere Africano, il cui nome non ha nulla a
che vedere con le caratteristiche della popolazione ivi residente. Quel nome
discende solo dal nome delle strade che si appellano a contrade del continente
africano (viale Somalia, viale Libia, via Tripoli, ecc.).
La piazza fino agli anni ‘50 si chiamava Piazza della
sedia del Diavolo e ancora oggi così è chiamata dai romani.
E’ una lunga storia.
Nel
sottosuolo della piazza è stato scoperto uno dei più antichi siti archeologici
di Roma, risalente all’epoca preistorica, tra 251.000 e 195.000 anni fa. La
scoperta si deve a Romolo Meli che nel 1882, con le sue rilevazioni
stratigrafiche, ha fatto conoscere per primo l'importanza dell'insediamento pleistocenico
di Sedia del Diavolo (Il Pleistocene è la prima
delle due epoche in cui è suddiviso il periodo Quaternario).
La cosa destò
scalpore perché nella cava furono rinvenuti i resti di grandi mammiferi, tra
cui quelli di un “Elephas antiquus”, e resti umani. Tra l’altro fu dimostrato
che gli abitanti di quell’epoca erano organizzati e si davano da fare per
sopravvivere, con il rinvenimento di strumenti classificati come schegge e
raschiatoi.
Quando Elio
Callistio fece erigere la tomba tutt’intorno era aperta campagna e i greggi
pascolavano tranquilli. Ma non era sempre così.
Si dice che
al calare delle ombre serali l’atmosfera si colorasse di fuochi, rumori e
risse.
La tomba di
Callistio diventava il rifugio di viaggiatori, di pastori, di sbandati e un
mercato di prostituzione, con risse annesse. Ancora oggi sembra che i segni di
fuliggine sulle pareti risalgano ai fuochi accesi per attutire il freddo
notturno.
Via via che
sorgevano nuove abitazioni, le persone cominciarono ad aver paura di quel
monumento. La fatale decadenza delle mura cominciò a far somigliare la tomba ad
una grande sedia che, per le storie tramandate, fu chiamata la sedia del
Diavolo. La scarsa illuminazione fece il resto. Nel medioevo si diffuse la voce
secondo la quale il Diavolo stesso si fosse seduto sul rudere provocandone il
crollo parziale, dando alla tomba l’attuale forma di una grande sedia con
braccioli.
Nacquero così
le leggende metropolitane anche su quel rudere. Si narra che nel 1800 un
pecoraio di nome Giovanni rincorresse una pecora fino alla Sedia e per tale
motivo diventasse un “guaritore”. Ma non finisce qui.
Giovanni
guarì un donna chiamata Assunta, affetta da dissenteria. La voce si sparse, la
gente cominciò a ritenere la sedia del Diavolo quasi miracolosa e altrettanto
miracolosa fu la fuga da Roma di Giovanni e Assunta accusati di stregoneria.
Torniamo alla
cosiddetta Sedia del Diavolo.
Era una bella
costruzione fatta con mattoni di vario colore, a due piani. Al piano superiore
piccole finestre - inquadrate da colonne inglobate nella parete con funzione
portante e appena sporgenti (cd.paraste) - adornavano le pareti.
Nella camera
inferiore in ogni parete di aprivano due arcosoli sormontati da cinque nicchie; le
nicchie erano a loro volta sormontate da piccole finestre.
Ancora
oggi l’ “arcosolium”, tipica
architettura utilizzata per le tombe,
può essere ammirato nelle catacombe e in molte chiese (soprattutto dal
XIII secolo): si tratta di una nicchia sormontata da un arco e nella parte
inferiore della stessa nicchia, sotto la lunetta dell’arco, è inserito un
sarcofago.
Le pareti
sorreggevano una volta a vela e questo particolare appare strano
perché in quel periodo quell'architettura
era poco usata. All’esterno, poi, l’edificio era coperto da un tetto a due
falde.
Ma oggi tutto
è cambiato. Non c’è più la campagna romana attorno alla tomba di Callistio e la
stessa tomba è chiamata Sedia. Oggi la zona è chiamata Quartiere Africano e non
è neanche un quartiere perché l’unità urbanistica amministrativa è il Quartiere
Trieste (Roma ha 35 Quartieri).
Nelle stesse
condizioni toponomastiche si trova il “Quartiere Coppedé”, anch’esso inserito
nel Quartiere Trieste.
Strano questo
Quartiere Trieste. Già in epoca storica in quell’area, e precisamente sul Monte
Antenne (“ante amnes”, davanti ai fiumi Tevere e Aniene) sorse un abitato
sabino, dove la tradizione vuole sia stato compiuto il cd. “ratto delle
sabine”. A seguito dell’urbanizzazione nel 1909, il territorio ebbe il nome di
Savoia. Nei primi anni del ‘900 Gino Coppedé fu incaricato di progettare un
“quartiere” (diciotto palazzi e ventisette tra palazzine e edifici) al quale
l’autore dette il proprio nome.
Finalmente,
nel 1946, con la nascita della Repubblica il nome della strada principale fu
scelto per denominare la zona come “Quartiere Trieste”. E mentre tutto questo
avveniva la tomba di Elio Callistio, alias Sedia del Diavolo, stava lì immobile
mentre d’attorno tutto si muoveva e mutava.
Strano questo
Quartiere Trieste.
Nel corso
della seconda guerra mondiale un povero pazzo urlava di notte nelle strade del
quartiere diffondendo terrore tra la popolazione. Si sparse la voce che un lupo
mannaro si aggirasse tra le vie. Il poveretto poi fu identificato e rinchiuso
in un manicomio.
Nello stesso
periodo qualcuno avvertì la popolazione del quartiere che i tedeschi,
preparandosi alla fuga, avessero minato tutte le strade. Le smentite ufficiali
alla radio non ebbero seguito e quasi tutti gli abitanti si misero a fuggire.
L’intera folla passò la notte a Villa Borghese, al freddo e con le poche cose
che frettolosamente erano state portate via.
Ma
attenzione. Il tempo corre veloce. Qualche cosa sta mutando. Qualche cosa sta
rompendo l’atmosfera notturna, silente e quasi magica intorno alla Sedia.
Persone che escono dai ristoranti, ormai sazie e con un pizzico di
allegria, ad eccezione di chi deve accompagnare gli ospiti a casa e deve andare
alla ricerca della propria auto parcheggiata chissà dove. Persone che appena
degnano di uno sguardo quel rudere che resiste imperterrito da secoli e ricorda
Elio Callistio, un liberto dell’imperatore Adriano che in un dimenticato giorno
del II secolo a.C. volle dimostrare a tutti il suo stato di uomo ormai affermato
e incaricò uno sconosciuto architetto di erigere il suo edificio funebre.
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