lunedì 12 aprile 2010

La Repubblica romana




La Repubblica romana
    di Adriano Imperatori

Il 1848 fu un anno decisivo per l’Italia e per l’Europa.
Se questo fosse un film, scorrerebbero i nomi di molti personaggi che hanno lasciato una traccia quell’anno: Carlo Alberto, Aurelio Saffi, Carlo Armellini, Giuseppe Mazzini, Giuseppe Garibaldi, Daniele Manin, Niccolò Tommaseo, Guglielmo Pepe, Ferdinando II di Borbone, Carlo Pisacane, Alessandro Poerio, Goffredo Mameli, Enrico Cernuschi, Luciano Manara, Radetzky, Napoleone III, Il generale Nicolas Charles Victor Oudinot, Leopoldo II di Toscana, tanti altri ancora e Papa Pio IX (Giovanni Maria Mastai Ferretti).


                                          Pio IX non sapeva che sarebbe stato l’ultimo “Papa re”.

Appena un secolo e mezzo fa i Papi guerreggiavano, avevano un esercito da combattimento, nelle piazze il boia (a Roma era famoso Giovan Battista Bugatti detto Mastro Titta) aveva il suo lavoro assicurato tra impiccagioni, decapitazioni e squartamenti e le teste dei delinquenti seccavano in cima alle picche, mentre nei cortili si fucilavano i rivoltosi.
Eppure Pio IX (eletto il 16 giugno 1846) era accettato dai cittadini del suo Stato, che comprendeva parte delle attuali regioni Lazio, Umbria, Marche, Emilia e Romagna, poiché aveva manifestato propositi liberali vicini alle attese della popolazione e, infatti, aveva concesso un’amnistia ai condannati politici, la libertà di stampa e, il 14 marzo 1848, una Costituzione. Egli stesso si definiva un “Parroco di campagna”, era semplice e idealista, un uomo di Dio: un Capo che si trovò ad affrontare eventi complessi e conflittuali tra ideali politici e religiosi. In effetti, nel corso del suo pontificato, Pio IX si trovò a gestire il momento storico della nascita anche in Italia di un moderno stato nazionale unitario.
Quanto ai romani, Enrico Meloni in un suo articolo ricorda come lo studioso tedesco Gregorovius parlava a tal proposito di "un popolo bambino”, grazie alle opere di assistenza e beneficenza pontificie che toglievano l’ansia del vivere e delle responsabilità concrete, concetto oggi riassumibile nelle marcate espressioni gergali: ”chi se ne frega” e “tiramo a campà”.
Eppure quel popolo “bambino” si svegliò adulto e tirò fuori – come dice Meloni – il carattere sanguigno, essenziale e un po’ guascone.
Il 15 novembre 1848, a Roma, accadde un “fattaccio”, non uno dei tanti attentati, ma un assassinio politico: sul Colle Vaticano fu ucciso il Conte Pellegrino Rossi, Capo del Governo Pontificio.
Che cosa stava succedendo? Facciamo un passo indietro.

Ancora oggi vive l’espressione “faccio un 48” a proposito di episodi personali che non soddisfano chi pronuncia la frase.
In effetti, il 1848 fu l’anno in cui si manifestarono in Europa idee e azioni popolari contro i poteri politici che, dal 1815 (Congresso di Vienna), reprimevano le richieste delle popolazioni verso aperture democratiche.
Per questi motivi, non disgiunti da difficoltà economiche, nel 1848 avvennero insurrezioni a Palermo e Messina contro il potere borbonico, a Parigi, Vienna, e a Venezia, Milano, Como contro il dominio austriaco.Il successo ottenuto dai rivoltosi a Milano, dopo cinque giornate di aspri combattimenti (18-22 marzo 1848) spinse il re di Sardegna Carlo Alberto, il 23 marzo di quell’anno, a dichiarare guerra all'Austria: la prima guerra di indipendenza.


                                                            Carlo Alberto di Savoia

 
Gli intellettuali e le popolazioni insofferenti del governo austriaco videro in Carlo Alberto il loro liberatore e al loro entusiasmo si aggiunsero tutti coloro che lottavano per affrancarsi dall’autorità dei governanti locali. Nel segreto delle riunioni settarie si guardò ai Savoia come i liberatori dell’intera penisola, anche se in un primo momento proprio i governanti locali vollero affiancarsi ai 30.000 piemontesi nella guerra contro l’Austria.
Il Granducato di Toscana inviò 7.000 soldati e il Regno delle Due Sicilie partecipò con 16.000 unità.
La guerra allo straniero coinvolse anche lo Stato Pontificio, tant’è che Pio IX inviò 7.500 soldati, ingraziandosi così tutti coloro che si sentivano moralmente vicini ai patrioti che avevano osato ribellarsi all’Austria, anche perché il Regno Sardo appariva, al momento, l’unico riferimento concreto per un cambiamento radicale della situazione politica.
Il popolo romano (ma si dovrebbe parlare dei pochi cospiratori che agivano in segreto) era pervaso da due idee che in qualche modo si cercava di far convivere: da un lato si auspicava l’affermazione di idee democratiche entro lo Stato pontificio, dall’altro si pensava che la vittoria del Re piemontese contro l’Austria avrebbe potuto continuare attraverso tutto il territorio italico.
Se questo fosse un film, qui apparirebbe la scritta di “fine del primo tempo”.
Invece no. Questo non è un film e tutto precipitò di minuto in minuto.
Fu opera di emissari austriaci o della Curia pontificia o fu lo stesso Pio IX ad avere una crisi di coscienza? Non c’erano in Austria ferventi cattolici? Era possibile che un Papa combattesse contro i suoi fedeli? E se fosse stato proclamato uno scisma religioso?
La situazione di fondo manifestava la conflittualità tra la posizione di un Papa che era contemporaneamente il capo della Chiesa Universale e il Capo di uno Stato, con tutte le implicazioni sociali e politiche connesse al duplice ruolo (potere spirituale e potere temporale): un problema di coscienza per il Papa e di difficile comprensione per i sudditi.
Nel corso del concistoro del 29 aprile 1848 Pio IX pronunciò la storica allocuzione “Non semel” (Non è la prima volta…), sconfessando la guerra contro l’Austria e inducendo, indirettamente, anche Ferdinando II di Borbone a ritirarsi dal conflitto.
Non si può ignorare che proprio il giorno dopo, il 30 aprile, i Regi Carabinieri si coprirono di gloria nella storica carica nella battaglia di Pastrengo, anche se poi, il 5 agosto Carlo Alberto chiese un armistizio e l’Impero Austriaco rientrava nei suoi antichi confini, stabiliti nel 1815 dal Congresso di Vienna, ad eccezione di Venezia, che si preparava a subire un lungo assedio.
V.Giacomelli - La Battaglia di Pastrengo
Il nuovo atteggiamento del Papa non piacque al popolo e fu causa di forti malcontenti che portarono a tumulti di piazza, culminanti nell’assassinio del Conte Pellegrino Rossi e in un tentativo di assalto al Palazzo del Quirinale.
Pio IX comprese che la situazione era gravissima e, temendo per la propria persona, il 15 novembre 1848 fuggì di notte, vestito da prete, trovando accoglienza a Gaeta, presso Ferdinando II delle Due Sicilie.
(Tra l’altro, la permanenza ebbe momenti di svago e gradimento allorché il Papa salì per la prima volta su un treno, l’8 settembre 1849, percorrendo la linea Napoli-Portici e visitò, il 23 settembre dello stesso anno, le officine ferroviarie di Pietrarsa). Roma, intanto, era rimasta senza governo: era giunto il momento tanto atteso dai democratici. L’occasione fu colta da personaggi che già agivano in nome di movimenti patriottici. Improvvisamente la Città era diventata l’unica realtà italiana libera da governi autoritari e i patrioti accorrevano con le loro idee e i loro sogni di libertà: Mazzini, Garibaldi con una sua legione, Saffi, Pisacane, Mameli, Cernuschi e, più tardi, Manara con 600 bersaglieri.

Milano - Monumento a Luciano Manara
Un governo provvisorio convocò le elezioni per il 21-22 gennaio 1849, alle quali parteciparono 25.000 cittadini su 35.000 elettori, nonostante la scomunica promessa da Pio IX a coloro che avessero votato. La nuova assemblea, il 9 febbraio 1849, proclamò la Repubblica Romana, guidata da un triumvirato composto da Giuseppe Mazzini, Aurelio Saffi e Carlo Armellini ed emanò il Decreto Fondamentale del nuovo Stato. (Se si guarda alla provenienza dei triumviri, curiosamente, solo Armellini era romano: aveva 72 anni).
Il nuovo governo promulgò una Costituzione che, ancora oggi, è oggetto di ammirazione anche riguardo ai tempi ristretti impiegati per la sua ideazione. Nel documento sono presenti, infatti, principi accettati in Europa dopo circa un secolo; principi che in quegli anni potevano essere solo oggetto di teoriche discussioni popolari (tra gli altri: il suffragio universale, l’abolizione della pena di morte, la libertà di culto, la soppressione dell'Inquisizione e della censura ecclesiastica e la nazionalizzazione dei beni ecclesiastici, valutati a 120 milioni di scudi).
Non meraviglia che Pio IX reagisse al suo spodestamento: Roma non era solo la sede del suo potere temporale, essa era soprattutto la sede della Chiesa Universale. Perciò il Papa chiese aiuto alle potenze cattoliche ottenendo l’intervento della Francia repubblicana di Luigi Napoleone Bonaparte, poi Napoleone III.

F.X.Winterhalter -Napoleone III
Era l’aprile del 1849. A Civitavecchia sbarcarono i primi 7.000 soldati francesi, con la dotazione del famigerato fucile a retrocarica "chassepot” al comando del generale Oudinot che avrebbe dovuto impadronirsi di Roma facendo finta di proteggerla.
I difensori di Roma non si fecero sorprendere e il 30 aprile 1849, sotto la guida di Garibaldi, sconfissero le preponderanti forze francesi nella battaglia di Porta Cavalleggeri.
Per conquistare la città i francesi dovettero attendere copiosi rinforzi, ammontando così a 35.000 combattenti contro 20.000 difensori e 100 pezzi di artiglieria.
La situazione precipitava, Oudinot respingeva un accordo firmato il 31 maggio da Ferdinand Lesseps, un diplomatico plenipotenziario delegato dal Bonaparte, con i triumviri e il 1 giugno annunciava la ripresa del conflitto per il 4 giugno. Ma proditoriamente alle ore 3 del 3 giugno i francesi, non rispettando la tregua, attaccarono. Erano in 20.000, avevano 36 cannoni da campagna e 40 da assedio.
Se questo fosse un film, a questo punto “arriverebbero i nostri”, ma non è così: questa é storia.
Nonostante le forze preponderanti, i francesi solo dopo un mese riuscirono a fare una breccia nelle mura del Gianicolo, nonostante la strenua difesa da parte dell’esercito repubblicano e dei volontari di Garibaldi. La stessa sera Mameli (22 anni), autore dell’Inno nazionale, già ferito il 30 aprile a Porta Cavalleggeri, venne colpito ad una gamba, che fu amputata, e morì il 6 giugno. Il 30 anche Manara (25 anni) venne ucciso.
I francesi entrarono a Roma 3 luglio 1849 e il Papa vi fece ritorno il 12 aprile 1850: ovviamente, abrogò immediatamente la Costituzione concessa nel marzo di due anni prima.
Scarsa consolazione della sconfitta fu la denuncia che Qurico Filopanti consegnò agli ufficiali francesi, ricordando che l'art. V del Preambolo della Costituzione repubblicana francese del 4 novembre 1848 assicurava che la Repubblica Francese “non adopera mai le sue forze contro la libertà d'alcun popolo".
Così la Repubblica Romana svaniva come un sogno prima del risveglio, ma gli ideali, il coraggio, la correttezza morale dei suoi artefici e il confronto di molte figure di primo piano del Risorgimento hanno conquistato per sempre un posto di rilievo negli avvenimenti che si sono succeduti nel processo di unità nazionale.
Nei momenti successivi, agli artefici di quelle giornate memorabili toccò una sorte immeritata. Nella fuga da Roma verso Venezia, Garibaldi vide morire la moglie Anita, già malata; Mazzini, Pisacane e gli altri fondatori della Repubblica fuggirono direttamente all'estero; Angelo Brunetti detto Ciceruacchio, catturato dagli Austriaci, fu fucilato a Rovigo con il figlio tredicenne Lorenzo (forse coinvolto nell’accoltellamento di Pellegrino Rossi).


                                   La fattoria Guiccioli dove morì Anita in fuga con Garibaldi

A proposito di Ciceruacchio, ex carrettiere, tipico esponente di quei popolani – come scrive Enrico Meloni – che possono considerarsi più il prodotto di suggestioni esterne che di rivendicazioni interne, Giggi Zanazzo recita nella sua opera "Tradizioni popolari romane": "Si nun fusse stata quela ventata de popolarità in der 1848, che lo strascinò e lo accecò, forse sarebbe morto in casa sua, in der su' letto (…)".
Prima della parola “fine”, vale la pena accennare alle complesse e articolate posizioni che ancora oggi sono assunte dagli storici sulla situazione politico-locale che provocò il conflitto romano. Causa ed effetto: due considerazioni che possono essere superate dal significato che la Repubblica Romana ebbe nell’evoluzione della nazione Italia.

Roma - Busto di Ciceruacchio

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