domenica 11 aprile 2010

Il Carnevale Romano


IL CARNEVALE ROMANO

                                                                 di Adriano Imperatori

“Rugantino ha fatto Gnecco”…”Rugantino ha fatto Gnecco”…
La frase urlata e mormorata s’inserisce nei vicoli, passa di bocca in bocca, attraversa Roma, arriva all’orecchio della Guardia papale…e Rugantino, innocente, è arrestato.
Chi ha visto la commedia musicale ricorda la storia di quello spaccone, innamorato di Rosetta, che si fà arrestare per amore della donna il cui marito giace accoltellato da un uomo mascherato.
E’ la prima metà del 1800. A quei tempi, durante il Carnevale Romano, i cittadini potevano mascherarsi e girare per le strade rumoreggiando, spesso avvinazzati, nascondendo la propria identità. In quell’atmosfera festosa e pericolosa non era difficile che si verificassero accoltellamenti per motivi di gelosia o di rancore.
Il Carnevale romano ha origini millenarie, risalendo ai Baccanali e ai Saturnali: la leggenda italica romana racconta che Saturno, cacciato da Giove, si rifugiò in un territorio che chiamò Latium (dal latino latere, "nascondere").
Durante quei festeggiamenti, inneggianti all’Età dell’oro, vigeva la più ampia libertà sociale: gli schiavi diventavano temporaneamente uomini liberi e i padroni erano schiavi, dando luogo a sacrifici, banchetti e orgie in pieno caos, come raccontano Seneca e Plinio il Giovane.
Si può ritenere che il cristianesimo abbia trasformato quella festa nel Carnevale, considerando l’ammessa libertà dei ruoli sociali.
Quanto al nome alcuni ritengono che esso provenga dalla locuzione "carnem levare" (“togliere la carne”) riferendo la medesima all’inizio della Quaresima.
A Testaccio, sulla “montagna dei cocci”, con un crudele divertimento, a Carnevale si lasciavano rotolare carri pieni di maiali, che si frantumavano a valle, con il popolo pronto ad arraffare i disgraziati animali (“Ruzzica de li Porci”).
Ed ecco che tutto si trasforma, s’ingrandisce, si colora, diventa una fantasmagorica baldoria popolare; la città intera si risveglia con i suoi caratteri più popolari e sfrenati.
E’ il 1464 e al soglio pontificio é chiamato Paolo II.
Paolo II, nato Pietro Barbo (Venezia, 23 febbraio 1417), fu un Papa “sui generis”. C’è chi lo definì stravagante (“Formosus laetissimo vultu, aspectuque iucundo”) e chi autoritario; eppure fece restaurare molti monumenti, tra i quali la statua di Marco Aurelio e gli archi di Tito e di Settimio Severo.

Papa Paolo II


Pensò anche alla salvezza delle anime; infatti, ricorrendo le indulgenze del giubileo ogni 50 anni e ritenendo che non tutti avrebbero potuto trarne vantaggio, portò la scadenza giubilare a 25 anni. Creò un putiferio sciogliendo il collegio degli “abbreviatori”, formato da linguisti e poeti incaricati di redigere i documenti papali.
Ma certamente fu ricordato per aver dato nuova vita al Carnevale romano che si manifestò nel suo massimo splendore.. Morì a Roma il 26 luglio 1471 per infarto, secondo alcuni, o per indigestione, secondo altri.
E’ solo immaginabile la confusione regnante per le strade, se si ricordano tutte le corse che si organizzavano: la corsa degli Asini, dei Bufali, e quelle (1633) poi abolite degli Zoppi, dei Deformi, dei Nani, degli Storpi.




Barker T.J. - La partenza
Nel 1634 il punto centrale della festa era piazza Navona, con la giostra del Saracino.
Ancora oggi si ricorda la corsa dei cavalli berberi senza fantino (ritratta da Joseph Ferrante Perry) lungo la via Lata con il lastrico coperto di finissima sabbia; gara che Paolo II volle godersi, allungandone il tracciato fino al Palazzo di Piazza Venezia, dal cui balcone si affacciava e dove i cavalli erano frenati da stallieri.
La corsa assunse tale importanza da mutare il nome della strada in Via del Corso.
La popolarità del Carnevale romano aumentò nel Sette-Ottocento, attirando nella città popolo, nobili e artisti da ogni parte e superando il Carnevale di Venezia.
Alla festa popolare i nobili partecipavano con tutto lo sfarzo e i privilegi dovuti al loro rango. Nell’occasione, la via del Corso era considerata quella che oggi si chiamerebbe “ZTL”, eppure le carrozze del senatore, degli ambasciatori, del conte d’Albany, per fare un esempio, potevano passare liberamente.
Il principe Pamphili nel 1711, sfilò circondato da ussari e così il principe Ruspoli vestito da sultano. Nel 1719 la famiglia Colonna fu presente con una fila di carri trionfali. Nel 1735, l’Accademia di Francia ideò una cavalcata di studenti truccati da cinesi e il principe Rospigliosi si presentò in costume di magnate polacco.
Nel 1763 la duchessa di Gravina Orsini interpretò Diana cacciatrice su un carro scenografico con alberi e grotte. Nel 1822 Paganini e Rossini si vestirono da donna.
E come non ricordare le considerazioni di Stendhal (“la strada più bella dell’universo”), di Goldoni (“non è possibile farsi un’idea del brio e della magnificenza di questi otto giorni”), di Casanova, Goethe, Dickens, Andersen, Gregorovius, Massimo D’Azeglio e i versi del Belli.
Tutto era uno spettacolo affascinante che oggi si può rivivere ammirando le opere dei pittori e dei musicisti che si sono riferiti a quella festa. Ne scaturisce un film il cui colore nasconde tuttavia i problemi sociali e politici dell’epoca.
Le stampe del Thomas, del Morner del Pinelli ( "Mascherata al Corso" e "Carnevale di Roma"), gli acquarelli di Ippolito Caffi ("La mossa dei barberi a piazza del Popolo" e "La corsa a Palazzo Fiano"), il quadro di Pietro Sassi ("La partenza dei barberi") e del russo Pimen Nikitic Orlov (“Festa dei moccoletti”), l’analoga incisione di H.Mòrner rappresentano con vivacità il Carnevale di Roma.
Per 8 giorni la gente era libera di mascherarsi, scorrazzare per le strade, schiamazzando in piena libertà, tra carri allegorici e lancio di uova.
“Il Carnevale di Roma non è una festa che si offre al popolo bensì una festa che il popolo offre a sé stesso” e ancora "gioia pazza e travolgente", scriveva Johann Wolfgang Goethe nel suo Viaggio in Italia.
"Il corso era un fiume di fuoco"; scriveva De Millin nelle Lettres a M.me Langlés.
Tutto questo é arricchito dalle musiche di Hector Berlioz (Symphonie fantastique - Ouverture Il Carnevale romano) e Johann Strauss (operetta “Der Karneval in Rom”).
Ed ora c’è appena lo spazio per ricordare almeno tre, tra le maschere del Carnevale romano: Rugantino, Meo Patacca e Cassandrino.
Il ritorno alla normalità era annunciato dalla “festa dei moccoletti” nella quale i balconi si illuminavano con candele e i festanti, correndo con una candela accesa, cercavano di spegnere quella altrui.
La fine del Carnevale romano fu preannunciata nel 1874, quando Vittorio Emanuele II vide morire un ragazzo investito durante la corsa dei cavalli e l’abolì. Il popolo romano, deluso, nel 1876 creò l’epitaffio: “Di Roma il Carneval qui morto giace – dorma egli alfine e Roma lasci in pace”.
Lentamente la festa cittadina si orientò al divertimento dei bambini che ancora oggi sfilano mascherati.
Roma quest’anno ha presentato un festoso Carnevale, dal 6 al 16 febbraio, inaugurato dalla Grande Sfilata di apertura a via del Corso con figuranti, artisti, maschere e saltimbanchi.
Ma forse ha ragione Marcello Rampognino quando scrive che, “Oltre a quello ufficiale, godiamo di feste mascherate estive e settimanali, in qualsiasi villaggio turistico del mondo. Abbiamo importato un’altra carnevalata come la festa di Halloween, così lontana dalle nostre tradizioni e dalla nostra cultura. Se ci guardiamo intorno, molto della moda riporta a un quotidiano Carnevale. Va così. Impazziamo tutti i giorni e non “semel in anno”, come pensavano gli antichi”.


A.Pinelli, Acquarello (particolare)

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